Registrato dal vivo al Blue Note di New York tra l’11 e il 15 marzo 2020 – uno degli ultimi concerti prima della ‘chiusura’ – questo disco del trombettista di New Orleans arriva a fare il punto sulla sua intensa attività degli ultimi anni. Sul sito, in due lunghi scritti spiega chiaramente il suo progetto: Come artista, cerco sempre di fare cose che non sono state fatte ed estendere le convenzioni ritmiche, melodiche e armoniche del Jazz per comprendere quante più forme / linguaggi / culture musicali possibile. Teorico di un jazz proteso verso il futuro dunque, in cui la lezione di Miles Davis è quanto mai evidente (non a caso Marcus Miller aveva scelto Scott per il ‘suo’ Tutu revisited nel 2010): sia negli accenti elettrici di Guinnevere, splendida rilettura del brano di David Crosby, sia nel lirismo di Huntress (for Cara) o di Incarnation (Chief Adjuah - Idi of the Xodokan). Ampio spazio è dato ai componenti del gruppo, formato da Alex Han al sax alto, Elena Pinderhughes al flauto, Lawrence Fields al pianoforte, Kris Funn al basso, Corey Fonville alla batteria e Weedie Braimah alle percussioni. Menzione speciale per pianoforte (che a tratti ricorda la potenza espressiva del McCoy Tyner anni ‘70) e flauto (in Songs She Never Heard ad esempio o in The Last Chieftain dedicata anche allo zio, il sassofonista Donald Harrison), anche se il tappeto ritmico-percussivo, a tratti davvero fiammeggiante, come nell’iniziale e ispaneggiante X. Adjuah (I Own the Night), è parte imprescindibile della musica del progetto. La lunghezza dei brani (in due casi fino a 16 minuti), inevitabile nei concerti dal vivo, non appare però mai ridondante o fine a se stessa. Se il jazz ha un futuro passa anche di qui! (Danilo Di Termini)