La nuvola di riccioli neri che, nel mare mosso di scosse date dalle mani sui tamburi, sembrava un cielo in tempesta, ha ceduto il passo a un corto tappeto di capelli grigi. Il sorriso e il fisico asciutto sono quelli di sempre. Suonare molto e molto bene tiene in forma. Trilok Gurtu ha poco bisogno di presentazioni. Scorrete un elenco di concerti e pubblicazioni discografiche dell’ultimo quarantennio dove sia stato necessario avere un percussionista con una visione globale, capace di intessere relazioni e costruire ponti musicali, più che rivendicare astiose piccole identità, e lo troverete. Oggi Trilok sfiora i settant’anni, e questo disco incantevole e meditato segna la sua ventesima uscita discografica. “Dio è un batterista”, l’impegnativo titolo: ma da intendersi più nel senso panteistico che tutto è battito e vibrazione, nell’universo, che da ascriversi a qualche bizzarria teologica, un po’ come quando Ellington intitolò “Il tamburo è una donna” una sua celebre suite. E’ un disco allegro e di una contagiosa vitalità, che rende omaggio a tre grandi amici di Trilok e delle sue percussioni che non ci sono più in tre brani separati da brevi interludi: Joe Zawinul, Nana Vasconcelos, Tony Williams. Qui è all’opera il suo gruppo più “jazz”, con la tromba calda di Frederic Köstere, le tastiere davvero “zawinuliane” del turco Sabri Tulug Tirpan, il trombone di Christopher Schweizer. ”Indranella” è fusione alchemica di percussioni, elettronica, vocalizzi, la conclusiva “Try This” è un indizio di un prossimo futuro: Trilok con orchestra sinfonica. Ne ascolteremo ancora delle belle. (Guido Festinese)