L’inizio, un corrusco, magmatico affresco poliritmico in cui si agitano continui passaggi di tonalità, sino a rendere incerto e ambiguo l’intero blocco sonoro, potrebbe far pensare al Lennie Tristano gigantesco ed eroicamente solo delle ultime incisioni, dei tributi a Parker, della Discesa nel Maelstrom. E, in effetti, non è che il genio di origini italiane venga spesso ricordato come anticipatore del tocco dell’idiosincratico Jarrett. Qui però è manovra necessaria, almeno quanto il rammentare un dato storico di prima evidenza: ogni volta che Jarrett suona in “solo” in Germania per qualche misteriosa alchimia della sorte le cose sembrano funzionare al meglio. E’ successo anche in Italia, sia chiaro (ricordate i concerti di Milano e Venezia?), ma qui il dato è di concreta riconoscibilità. Col valore aggiunto di trovarsi a Monaco, nella città dove ha sede la Ecm di Manfred Eicher che se l’è sempre tenuto sotto l’ala.
Jarrett, qui settantunenne, è al termine di una tornata fitta di concerti programmati per il 2016: dunque dovrebbe esserci lo spettro della Sindrome da affaticamento che lo perseguita. Invece no. Le dita corrono, la concentrazione è assoluta, e le dodici schegge del primo cd, tutte di diversa campitura, toccano le più diverse temperature estetiche ed emotive: compreso il riemergere del gospel e del blues, che stanno appena sotto pelle, in Jarrett. Nella seconda parte del concerto affronta tre standard: Answer Me, My Love, che sgorgò innumerevoli volte dalla dita fatate di Nat King Cole sulla tastiera, It’s A Lonesome Old Town, un capolavoro di mestizia dagli anni della grande depressione americana, ed infine il colpo struggente che Jarrett sfodera sempre: una rilettura di Somewhere Over the Rainbow che potrebbe far piangere un semaforo. Bentornato, vecchio umorale Keith Jarrett. (Guido Festinese)