Che i musicisti eccellenti emergano solo grazie alle proprie energie creative, e non perché il mercato è alla ricerca dell'ennesimo clone rassicurante è già importante. Se poi all'eccellenza musicale (che è una misteriosa combinazione di studio, istinto, capacità di cogliere lo “spirito del tempo” in cui si vive, lo Zeitgeist che ci scorre attorno) si combinano modestia e un'aria tutt'altro che spavaldamente arrogante, bisogna tenere quei musicisti nel piccolo scrigno della felicità. Cui fare ricorso ogni volta che sembra che nulla stia succedendo. Vijay Iyer è quel tipo di musicista. Vi sarà capitato di chiedere a qualcuno dall'aria bonaria se ha in caso qualche libro interessante. E quel qualcuno può avervi risposto, “Sì, qualcosa”. Salvo poi scoprire che ci sono cinquemila libri, che li ha letti tutti, e che è andato pure oltre. Iyer é uno così: in Break Stuff, dove lavora come titol programmatico su quelle pause e momenti affilati di silenzio che rendono palpitante la musica ha messo dentro cinquemila ascolti diversi. C'è la pulsazione “funk” come la intende Nick Bartch e il martellante ricamo fiorito di note di Mc Coy Tyner. C'è il corrusco indagare di Monk e di Waldron e la raggiane fibrillazione di gioia della tastiera di Abdullah. La sapienza armonica di Paul Bley e l’incanto sospeso di certo John Taylor. Alla fine, c'è solo Vijay Iyer. Che con due altri grandi come Stephan Crump al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria ha costruito un nuovo capo d'opera per trio jazz. (Guido Festinese)