Una radiosa maturità espressiva avvolge i dolcissimi cinquant'anni di Karen Matheson, tra le voci più belle che la musica gaelica ci abbia regalato nell'ultimo trentennio. Lei, si ricorderà, è la splendida ugola dei Capercaillie, quasi la declinazione scozzese degli irlandesi Altan: stesso gusto per arrangiamenti torniti e scintillanti, stesso amore per le radici, stessa libertà affollettata nel cogliere dalla contemporaneità quanto serve per far sì che note “trad” , o ispirate alla tradizione, non siano polvere museale, ma scintillio di vita. E' evidente che, quando incide da sola, Matheson riesce ancor meglio a scegliere mettere a fuoco particolari strumentali che arricchiscono canzoni cantate con maestria quasi inarrivabile: qui rintracciabili nei tocchi di slide guitar e armonica, nell'intervento della kora magistrale di Seckou Keita, o del sarod indiano tra le mani di Soumik Datta. Dovrebbe essere un disco mesto, segnato dalla scomparsa dei genitori, ed invece è una specie di radioso percorso in un giardino di suoni, la voce imperiosa e vellutata a far da apripista. Urram in gaelico scozzese significa rispetto: e qui ce n'è a profusione, per la propria cultura, per chi sceglierà di ascoltare queste tredici tappe. (Guido Festinese)