Sounds From The Harbor, e dunque “suoni dal porto”: nel triplice significato di suoni materiali raccolti nella proliferante messe di attività del porto stesso con un registratore da Tindiglia,e innestati qua e là nel disco, di suoni concepiti in quello spazio fisico, perché ogni anno il Gezmataz Festival ha quella cassa di risonanza storica, ed infine perché i quattro amici e compagni d’avventura sonora di questo disco sono anche i docenti dei seminari musicali collegati al Festival. Adesso arriva questo disco intenso e gentile, che sembra più una garbata conservazione tra persone ancora capaci di gioire uno dell’intelligenza dell’altro, senza alzare mai la voce, che uno di quei progetti fatti tanto per lasciare una testimonianza. Il che non significa che non ci sia una tensione serpeggiante tra le note: succede ad esempio in Genesi, un tema nervoso ed intenso, o in Collisions, che vive del contrasto fra linee melodiche lunghe dipanate dalla chitarra di Tindiglia, e secche concitazioni strumentali colemaniane in risposta da parte degli altri. Tra l’altro trovate una versione dilatata e sognante de Il pescatore”, e quel gioiello di ballad malinconica e nobile che si intitola Asken, scritta da Tindiglia in evidente stato di grazia. Che dire degli altri?Che ognuno è maestro del proprio strumento, e si sente. Senza bisogno di gridare, si diceva. (Guido Festinese)