Immaginate un prisma, che scompone i colori nelle sue articolazioni elementari, basiche, e poi un caleidoscopio, che ad ogni movimento scompone e ricompone forme e colori. Applicate il tutto alla musica. Immaginate un coro gregoriano proiettato in un futuro lontano, e tutto composto di donne. O un sodalizio che metta assieme per un giorno Diamanda Galas, Kate Bush, Joanna Newsom, Björk. E magari anche Antony. Ne verrebbe fuori qualcosa di simile a questo disco. Sophie Tassignon negli ultimi vent’anni ha sempre partecipato a progetti interessanti, Charlotte & Mr. Stone, Azolia, Zoshia, Khyal, ed altre belle avventure sonore in bilico tra avant jazz e indie art rock, poesia sonora e teatro. Qui però l’asticella è molto, molto più in alto: un disco per sola voce, scomposta e ricomposta mille volte, e qualche tocco d’elettronica. Così Tassignon diventa una sorta di cibernetica eppure umanissima iperdonna- coro, angelica e inquietante al tempo stesso: che può spaziare da un brano di Dolly Parton (!) a uno di Antonio Vivaldi, passando magari per una citazione dai Cowboy Junkies di “Witches”. “Penso che il ruolo di chi fa musica sia percepire le emozioni del mondo e permettere che queste emozioni passino attraverso loro stessi per trasportarli in una dimensione oltre il tempo”, ha scritto lei: ben detto, ed esattamente in tema con i risultati. (Guido Festinese)