Nell’Americana, notoriamente, tre accordi fanno girare il mondo. La differenza la fanno intensità, voglia di raccontare ripulita da ogni ipertrofia narcisistica, paesaggi nudi e crudi colti con due sciabolate di plettro sulle corde e un filo di voce in gola. E pazienza se tanti brani si assomigliano fra loro, non è quello il punto. Ad esempio uno ascolta i primi due minuti splendidamente sferraglianti di What in the World, brano che intitola il nuovo disco del rocker Michael McDermott, e, inevitabile, si affaccia alla mente la dylaniana Subterranean Homesick Blues. Quasi identica la struttura, e il rotolare dei testi ad addensarsi a fine frase. Tant’è che bisogna andare in fondo al disco per trovare un’altra versione dello stesso brano, demo acustico, tutt’altra atmosfera. Le cose cambiano subito con New York Texas, sospesa tra rarefatta sfera acustica ed improvvise illuminazioni elettriche, e da lì in avanti il passo è solido e meritorio. L’originalità bisogna andarla a cercare da altre parti. McDermott sa di non essere un genio, e neppure Tom Petty. Ma l’ Americana ha più bisogno di fattivi artigiani dei watt e del racconto senza fronzoli che di inarrivabili poeti elettrici Nobel per la letteratura. A quello ci pensa Dylan, no? (Guido Festinese)