Probabilmente Paul McCartney è davvero vivo e vegeto e quello ad essere morto, all’insaputa di tutti, è Brian Wilson; la casa discografica possiede nastri segreti ancora per qualche album, che centellina con discrezione. Solo così si riesce a spiegare questa rivisitazione di una dozzina dei titoli fra i più famosi a firma George Gerswhin: affogati in un caramello Sixties, più “Grease” che “American Graffiti”, ogni titolo scelto (lasciamo stare per decenza “Rhapsody in Blue”) costringe al paragone con una versione migliore, più credibile o più sorprendente. E non parlo di improponibili confronti col mondo del jazz, ma con l’universo dal quale Wilson proviene: ad esempio “It Ain't Necessarily So” fa rimpiangere dopo due note la versione di Jimmy Sommerville con i Bronski Beat. Rest in peace Brian. (Danilo Di Termini)