Viviamo in un epoca ‘retro’, lo ripetono ormai tutti fino alla nausea e non si capisce se per giustificare una mancanza di prospettiva futura o perché siamo (auto)condannati a replicare il passato nella speranza di riuscire a modificare il presente, come fa Bill Murray in “Ricomincio da Capo”. In ogni caso, ogni iniziativa nostalgica risulta assolutamente sterile e fine a se stessa, se è incapace di concepire al suo interno una consapevolezza che permetta di superare l’inutile rimpianto di un ‘antico’, spesso solo immaginato e mai vissuto. Shilpa Ray, un passato post-punk da front-woman di gruppi come Beat The Devil e Happy Hookers, ha sovente rivolto lo sguardo indietro (una magnifica versione di “What A Difference Day Makes” uscita in musicassetta, una cover di Prince, “When Doves Cry”, pubblicata solo in 45 giri l’anno scorso), ma in maniera (ri)evocativa e mai commemorativa, arricchendo sempre la proposta con il vissuto della propria esperienza. Così la ragazza della porta (accanto) del titolo non è l’ideale donna che tutti vorrebbero sposare, bensì il resoconto del suo lavoro come addetta all’ingresso di un club del Lower East Side di New York. Tra quelle strade può accadere di ritrovarsi in mezzo al delirio di “EMT Police and the Fire Department”, alle sonorità hip-hop di "Revelations Of A Stamp Monkey", al pop anni ‘50 di “Shilpa Ray's Got a Heart Full of Dirt” dove fa capolino il riff di “Tears of my Pillow” di Little Anthony & the Imperials. La voce affascinante, limpida come solo una certa Debbie Harry riusciva ad essere, sporca come ogni cantante di blues che si rispetti, si fonde con un’originalità musicale (che comprende l’uso dell’armonium, omaggio alle sue ascendenze indiane) davvero rara di questi tempi. (Danilo Di Termini)