Il rock in maschera. Dischi come questo sono sincere recite, artefatti spesso impeccabili che delegano in toto il proprio fascino a musiche andate. Nello specifico: il pop californiano degli anni 60, dei tardi anni 60, per essere precisi. L’omonimo esordio (2012) era una rilettura del suono Nuggets, riuscita e melodica. Qui, con incedere cronologico impeccabile, l’attenzione si sposta verso contaminazioni diverse (il folk, la psichedelia) mantenendo il contesto sostanzialmente invariato. Il disco è gradevole, nel senso migliore del termine, ma persa la freschezza dell’esordio l’impatto è più atteso e, dunque, meno efficace. Gli Allah-Las sono commessi di un negozio di dischi (Amoeba, a LA) e si sente: hanno ascoltato molto, evidentemente. E ora fanno. Bene, per carità. Ma c’è derivativo e derivativo; qui, più che altrove, siamo in ambito derivativo. (Marco Sideri)