Deve essere un filo noioso, soprattutto per chi legge, ripetere sempre le stesse cose. Del resto, però, se uno è bravo, è bravo. E se uno pubblica dischi tendenzialmente tutti belli, quello fa. Dire diverso, per il gusto di una recensione pepata, è scorretto. E quindi: rieccoci ad apprezzare la vocazione musical/evangelica di David Eugene Edwards che torna sotto il nome Wovenhand con un altro gran disco. Gran disco di canzoni folk americane, sporcate dall’elettricità e da una voce cattiva e distorta. Questo disco pare la prosecuzione diretta del percorso 16 Horsepower, interrotto senza clamore al principio dei 2000 per fare spazio al progetto Wovenhand: rock americano e scuro, con un’impalcatura acustica (banjo e mandolino) e scossoni elettrici intorno; al centro, la voce e la personalità di DEE, predicatore e cantante. Un altro centro (si dice così). (Marco Sideri)