Non ha convinto il Guardian (al contrario inspiegabilmente molto ben disposto verso Sharon Jones) questo tuffo nella black music di Joan Wasser, una decisa virata verso territori più gioiosi rispetto ai suoi precedenti album. Invece se l’apertura di “Witness” e di “Holy City” (ispirato da una visita a Gerusalemme)colpiscono apparentemente in superficie, il doo-woop (con l’aiuto di Joseph Arthur e di Reggie Watts) del brano che dà titolo al disco va dritto al cuore. E più ci si addentra tra le dieci canzoni, più si scopre un’anima anche scura e tormentata, come nella psichedelica “Good Togehther”, elegiaca nella cristallina “Get Direct” o lisergica in “New Year’s Day”. Fiati, organi e chitarre, tutto in regola; che finalmente il retro-soul abbia finalmente trovato il modo di guardare avanti? (Danilo Di Termini)