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Rock Recensioni BOB DYLAN - Another Self Portrait (1969-1971)
 

BOB DYLAN - Another Self Portrait (1969-1971) BOB DYLAN - Another Self Portrait (1969-1971) Hot

BOB DYLAN - Another Self Portrait (1969-1971)

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Another Self Portrait (1969-1971)
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Casa discografica

Misteri dylaniani, i soliti, da mezzo secolo e qualche spicciolo di tempo in più. Le scelte insindacabili del Signor Zimmermann sulle sue incisioni. Prendete questo Another Self Portrait / The Bootleg Serties vol. 10 (1969 -1971): uno potrebbe storcere il naso, a pensare che siamo negli anni tra il country Nashville Skyline, il (supposto) orrido Self Portrait e il mai apprezzato e grande New Morning. Poi invece qua scopri una inedita Working On A Guru con un George Harrison che cuce e ricama con le corde, una If Not For You rallentata e cambiata nella linea melodica che fa venire i brividi, una New Morning che ci si domanda perché non sia finita nel disco omonimo, una Highway 61 Revisited dal vivo all'Isola di Wight dove trovate probabilmente il miglior assolo della vita di Garth Hudson della Band. Misteri, si diceva. Prendere o lasciare. Preferiamo prendere, un po' stupiti. (Guido Festinese)

 

 

opinioni autore

 
BOB DYLAN - Another Self Portrait (1969-1971) 2013-09-22 18:38:48 Marco Maiocco
Giudizio complessivo 
 
85
Marco Maiocco Opinione inserita da Marco Maiocco    22 Settembre, 2013
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Decimo capitolo della leggendaria bootleg series dylaniana, con registrazioni inedite, distribuite su un paio di nutriti dischetti, accompagnati dal solito splendido libretto, comprese fra il 1969 e il 1971. Sarà l’ignoranza crassa, la pigrizia, o l’incipiente demenza senile, ma non abbiamo voglia o non siamo in grado di spiegare alcunché, ammesso che ce ne sia bisogno. Ci limitiamo a consigliare vivamente di ascoltare questo ennesimo (e per fortuna!), prezioso ed emozionante documento sonoro che sul piano musicale fotografa il menestrello o messaggero errante di Duluth (Minnesota) felicemente sospeso tra i “Basement Tapes” e i suoi primi anni ’70, da “New Morning” a “Planet Waves”, passando per il “Nashville Skyline”. E pensare che proprio nel 1969 Dylan stava meditando il ritiro, dopo il terribile incidente in motocicletta e la delusione per le eccessive critiche, nella seconda metà degli anni ’60, alla sua epocale svolta elettrica, che come un’incontenibile “pietra rotolante” aveva letteralmente scaravoltato il mondo della popular music e non solo. Una decisione, quella dell’abbandono, che fortunatamente non ha mai avuto luogo, come ancora una volta testimonia questo nuovo doppio reperto, e (come) recentemente dimostrato dallo stesso “Tempest”, ultimo fluviale e tracimante disco in studio. Ma stiamo parlando troppo, e queste sono notizie biografiche fin troppo trite e inflazionate. Spazio alla musica, quindi, a questo intenso e profondo racconto americano, che in sé, tra le sue maglie armoniche, riesce a custodire, senza esagerazione, gran parte di storia dell’umanità. Buon divertimento, nel senso più nobile del termine.

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