È facile fare la caricatura di Scott Walker nel 2012 e, al versante opposto, è facile prenderlo troppo sul serio. Da una parte, Scott è come la corazzata Potemkin (o Potionchin) di fantozziana memoria: un totem di rispettabilità sperimentale a prescindere. Dall’altra, Scott è uno dei più personali e consapevoli interpreti della musica di oggi: un totem di rispettabilità sperimentale a prescindere. Ex pop star (modello anni 60), parco pubblicatore (Bish Bosch è il terzo disco della fase matura Walker in 20 anni o giù di lì), autore concettuale (il disco arriva con un compendio di riferimenti da tomo universitario), musicista avventuroso (qui campiona peti, sfrega macheti, usa l’orchestra per i silenzi). Insomma, il giudizio paradossalmente va dato di pancia, se no non ne usciamo. E, di pancia, Bish Bosch è meraviglioso. Ostico, a tratti, coinvolgente, spesso e studiato fino al minimo particolare. La voce, profonda e presente, funge da guida in mezzo ai suoni tortuosi. Una cagata pazzesca, o un grande disco. Il voto è aperto. (Marco Sideri)