Il suono 'caratterizzato' ti mette su un piedistallo (la riconoscibilità) e dopo un po' all'angolo (l'ovvietà), se non sei in grado di evolverti. Dopo l'esordio entusiasmante di Come On, Die Young (1997), è dal secondo album che ai Mogwai si dice "Bravi, ma ora cambiate un po'". In realtà se si ascolta con attenzione questo Hardcore Will Never Die, But You Will, ci si rende conto che la molto fisica alternanza fortissimo-pianissimo all'interno dei singoli brani è stata sostituita da un'attenta distribuzione di pesi e misure titolo dopo titolo: una chitarra deragliante, una tastiera prog, una ritmica incalzante e in un paio di punti strategici persino ampio spazio alle voci (il gruppo, come si sa, era nato quasi solo strumentale'). Alla fine si sente anche qualcuno che, in italiano, parla di lupi (ci saranno specifiche varianti per i diversi paesi?). L'insieme è al solito abbastanza suggestivo e, come sempre accade con la musica che comunica immagini (da Vollenweider agli Oneida), ognuno sceglierà il momento che più lo coinvolge. Indiscutibilmente il mondo evocato dai Mogwai (titoli inclusi) resta parecchio fosco, ma va detto che ormai sembra un mondo più ricordato che vissuto qui e ora. Il disco più saggio dei Mogwai. (Antonio Vivaldi)
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