Vatti a immaginare che un bel disco, un disco “di livello internazionale”, come dicono nei programmi televisivi, possa arrivare dalla piccola Lituania, repubblica baltica sempre confusa con le due assonanti vicine (si racconta di un leggendario Lestonia creato dall’ex calciatore Franco Causio) e fin qui nota quasi solo per i suoi cestisti anni ’70. Se è arrivata a farsi apprezzare in mezza Europa con un disco intitolato Laukinis Šuo Dingo, c’è da immaginare che Alina Orlova sia proprio brava e in effetti lo è (i francesi, sempre attenti allo charme intellettual-esotico, già la adorano).
L’album, che nel paese d’origine è uscito nel 2008, la mostra cantante fluida e incisiva che deve molto a Kate Bush e che è in grado di rendere timbricamente suggestiva la poco familiare (nel resto del continente) lingua madre, un po’ come capitò con la Björk delle origini Le melodie sono rapide, incisive, sovente incalzanti (Lijo) e qualche volta ammiccanti (Nesvarbu), costruite sul pianoforte e decorate con archi e tocchi folk che rimandano a Yann Tiersen e a Michael Nyman. Sorgono a questo punto spontanee due domande inquietanti. Quanti altri artisti fanno grandi cose in Slovacchia o ad Andorra o chissà dove senza che altrove lo si venga a sapere? Perché è quasi sicuro che in Italia simili talenti, con l’eccezione forse di Dino Fumaretto, non ci sono proprio? (Antonio Vivaldi)