Marcatevi il titolo strano e gli altrettanto poco familiari nomi che preludono al titolo, perché quando questo disco sarà finalmente nei negozi (previsione: 28 novembre) l’oblio che dissesta ogni buona memoria potrebbe avere avuto il sopravvento. Già ne ha dovuto sopportare uno, e pesante, di oblio: i master originali di questo capolavoro di uno dei periodi più tumultuosamente creativi del Brasile (scorcio Sessanta, inizio Settanta) sembravano irrimediabilmente perduti in un incendio del ’74 che aveva mandato letteralmente in fumo centinaia di ore di registrazione. Tant’è che una copia di Paêbiru in buone condizioni è tutt’ora quotata intorno ai 1500 dollari. Se riandate con la mente alle avventure seminali di Caetano Veloso ancora spina nel fianco del regime militare e costretto a una ritirata strategica nella Swingin’ London, se pensate alle più zappiane carambole sonore concepite da quel gran signore delle note che è Tom Zé, siete in rotta di avvicinamento: ma qui si va oltre, con la stessa differenza che potrebbe esserci, per intendersi, tra una messa Beat all’amatriciana e la messa lisergica concepita dagli Electric Prunes. Paêbirú è una suite dedicata agli elementi primordiali, acqua terra aria fuoco, con tanto di floydiani frullii di volatili, suoni d’ambiente, sfocature soniche, chitarre fuzz che tumultuano all’improvviso, ricami acustici pennellati sui tempi lunghi della cannabis, sassofoni storditi dal Pianeta Gong di Bahia. E voci meravigliose che incrociano questo straordinario trip “oltre lo specchio” del Brasile. Per avvicinarsi al concetto: provate a immaginare una impossibile session tra gli Amon Düül più rilassati e l’Incredible String Band in trasferta carioca, e sarete vicini al bersaglio. (Guido Festinese)
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