Non è un Guccini di maniera quello che qui chiude, secondo le dichiarate intenzioni, la sua vicenda artistica, se non altro in ambito musicale, nonostante la non più freschezza di un linguaggio, che un tempo è stato impetuoso e originale. Da vorace lettore e capace scrittore, infatti, e come si conviene a quella sorta di nobile volontà testamentaria che anima per intero quest'ultimo lavoro, l'intellettuale e cantastorie modenese confeziona altri otto suggestivi episodi, che si aggiungono (arricchendoli di un'altra profonda manciata di umanità) ai già copiosi e meritevoli appunti e diari di un capitano di lungo corso della canzone italiana. Un album, questo "Ultima Thule", l'estremo nord, che non poteva che uscire nei crepuscolari ultimi giorni dell'anno, quelli che si inseguono via via più corti, fino al "famigerato" e risolutivo (però) solstizio d'inverno. Perchè siamo davvero alle prese con un vero e malinconico commiato, a tratti commosso, e con l'amara constatazione che nulla o quasi è cambiato (l'isola ovviamente non è stata trovata, ma lo si sapeva già anche allora) e che "nel freddo tutti finiremo".
Guccini, d'altra parte, non è certo il tipo da ritrovarsi ancora "sulla strada" dopo tutti questi anni spesi "tra la via Emilia e il west", come l'odierno e sempiterno Francesco De Gregori (per altro appartenente a un'altra generazione) non smette di fare, per continuare a commentare i nostri tumultuosi giorni, nè così inseguito e ossessionato dai "cani dell'inferno", sì da dover fuggire ad libitum in uno scapicollato e disperato never ending tour dylaniano. La passione per la letteratura, la scrittura e la placida vita in campagna, lo tengono saldamente ancorato ad una serena (anche se nostalgica) accettazione delle cose. Ricordi d'infanzia, dei propri genitori, echi di lotte passate, la rivendicazione di essere da sempre un umile artigiano della composizione e del racconto più che un artista navigato, la prefigurazione della morte, il funerale, nel "Testamento di un pagliaccio", di chi ha sempre portato il peso e che oggi non ha più la forza di testimoniare: questi i temi che fioriscono quà e là, subito imprigionati nella morsa di un ghiaccio da "alba del giorno dopo", che tregua non lascia e non può lasciare. In tempi bigi come questi, in cui "il Re Sole" torna riesumato alla ribalta, fanno felicemente capolino anche un brano resistenziale ("Su in collina"), dalla dovuta aura epica ed ancestrale, grazie anche all'utilizzo della ghironda, ed uno sulla liberazione ("Quel giorno di aprile"), perchè "la campana che su nessun campanile sta" torni a risuonare, ad evitare che "dentro di noi troppo in fretta si allontani quel giorno". Lo accompagnano in quest'ultima impresa alcuni amici di sempre, tra i quali Vince Tempera al pianoforte, Ellade Bandini alla batteria, Juan Carlos "Flaco" Biondini alla chitarra e fisarmonica, e Antonio Marangolo ai fiati, che brilla in particolar modo al sax sopranino ricurvo. Tutti abili nel costruire l'adatto fondale, sul quale far veleggiare le parole limpide e stanche del cantore emiliano, che non graffiano più come una volta, ma che sanno ancora imprimere sulla tavoletta sonora efficaci stilettate. L'album si conclude con la promessa, la visione metaforica di un ultimo viaggio in solitaria, verso l'estremo nord, l'ultima Thule (appunto), tra le isole Svalbard e il fantomatico Polo Nord (proviamo a immaginare noi). Eroe di sè stesso, esploratore intrepido, Guccini sogna, come un'odierno Shackleton - che però si smarrì (soopravvivendo) nell'immenso pack antartico -, di perdersi definitivamente, quasi sciogliendosi o cristallizzandosi, tra i ghiacci atavici della calotta polare, senza lasciare alcun ricordo, alcuna traccia. Ma quel "grappolo di illusioni" che lungo la strada Guccini ha lasciato dietro di sè, è ben difficile che possa svanire dalla memoria di chi lo ha seguito e da lui si è sentito rappresentato; e chissà che dal ghiaccio artico la sua voce non possa (o non voglia) tornare, come lo spettro di un'indomita e antica ricerca di verità, perchè questa non sia davvero "L'ultima volta": ce ne sarebbe ancora bisogno. (Marco Maiocco)