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Memories Can't Wait
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Memories Can't Wait Hot

Image “Oggi pome andiamo al Vanilla, vieni anche tu?”
A scuola mi facevano questa domando solo i primi tempi, chiedendomi di far parte di un rito (quello della discoteca al sabato pomeriggio, autentica manna per una generazione ancora abituata a non far tardi la notte…specie se minorenni) al quale molto gentilmente ma fermamente dicevo di no.
Sebbene l’area di arrivo fosse la stessa, ben altri erano i miei percorsi: appena investito appieno dal ciclone “Nevermind”, l’ascolto di “Planet Rock” su Stereorai e la lettura di “Rockerilla” e del “Mucchio” (e di li a poco “Rumore” e “Dynamo”) mi avevano messo addosso una fame di musica che i negozi del ponente cittadino dove risiedevo non potevano compensare: i più vicini “Sonorama” e “Music Box 2” (per non parlare di una mitologica bancarella di dischi più o meno usati in Via Sestri) avevano molti classici –spesso comprati in cassetta- ma se si esclude una piccola parte di dischi su major quel “nuovo rock” che mi attirava era introvabile.
Ecco quindi che al sabato pomeriggio lasciavo i compagni di classe all’assalto delle discoteche, mentre io avevo giusto il tempo di poggiare lo zaino con i libri a casa per poi scappare a prendere l’autobus, diretto verso il centro.
Il viaggio era lungo, tanto che scendevo quasi al capolinea, diretto verso l’inizio di Via della Maddalena, sede di Red House: li era il regno del punk e dell’hardcore, generi su cui sapevo pochissimo se non i capisaldi, e già solo guardare le copertine ti proiettava in un mondo diverso…e poi era uno dei pochi negozi a tenere ancora 7”, di li a poco una rarità.
Uscito passavo da Piazza Banchi, per vedere le bancarelle dell’usato, all’epoca situate tutte sul lato della Loggia dei Mercanti: il bello di quegli anni era che in parecchi si erano sbarazzati dei loro dischi in vinile per passare ai cd, col risultato di imbattersi nei dischi più strani a prezzi da favola…la pacchia sarebbe durata pochi anni, visto che sarebbe scoppiato il collezionismo del vinile in risposta proprio al dilagare dei cd, ma per metà degli anni ’90 ci si riempiva la casa di meraviglie per poche carte da mille.
(A volte deviavo verso On Stage, storico ritrovo dei metallari cittadini, anche solo per guardare la vetrina: il genere mi tentava poco –mi accontentavo delle cassette registrate dagli amici- ma la curiosità era troppo forte…)

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L'ultima sede di Pink Moon
Il cammino per raggiungere Via Venti Settembre sembrava brevissimo, perché li si trovavano due dei capisaldi dei miei viaggi sabatali: da un lato Liguria Libri & Dischi, dall’altro Pink Moon. Il primo si trovava al primo piano di un palazzo di fronte a Feltrinelli, e gli scaffali carichi di cd economici erano una tentazione troppo forte per resistervi…il bello era che gli restavano spesso parecchi cd di offerte ormai passate, tanto che vi trovai cose come l’unica raccolta allora disponibile dei Triffids, già fuori catalogo…
Pink Moon invece era il punto d’incontro dei freaks musicali come il sottoscritto. La parete affianco al negozio era tappezzata di volantini di concerti e soprattutto di richieste di musicisti per band: certo, oggi grazie a internet forse la cosa è più semplice, ma quei biglietti scritti a mano (tutti uguali: cercasi____, genere____, pezzi propri e cover di____) avevano l’aria di messaggi in bottiglia lasciati alla speranza di trovare qualcuno con gusti musicali affini. O forse è solo il ricordo a trasfigurare le cose e a renderle più “sentite”…
Dentro ci finii per conoscere le prime persone che con cui condividere la passione per la musica, altri appassionati segnati dalle stesse esperienze, con cui finalmente chiacchierare di gruppi diversi da quelli che passavano in tv, a cui chieder consiglio, e magari darsi appuntamento a qualche concerto, magari in quel Teatro Albatros che cominciava a passare il meglio del rock italiano in circolazione, o al Palace, o magari al Nessundorma.
Uscito di li, passavo per Via San Vincenzo, sui cui gradini a metà si sedevano a chiacchierare diverse gruppi giovanili, spesso proprio accomunati dalla musica. L’ironia voleva che gli appassionati di punk rock (con cui mi ritrovai poi a chiacchierare, pur avendo gusti meno settari, ed a loro debbo parecchio, a partire dal soprannome che ho finito per tenere come nickname su internet) sedessero dando le spalle a Kamarillo, negozio specializzato in jazz: sbirciando la vetrina mi sembrava di aver a che fare con un universo più “adulto” e in un certo senso più noioso…ci vorranno anni prima di scoprire il jazz e rendermi conto di essermi sbagliato, ma all’epoca l’età mi spingeva a valutazioni diverse.

 

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La fine del viaggio
Il viaggio terminava da Disco Club: me lo ricordo ancora strapieno di vinili, con la parte dell’usato già aperta (il mio primo vinile usato lo comprai li, e non sarebbe stato che il primo) e la vetrina invitante di novità. Di tutti i negozi del centro citati è rimasto l’unico aperto (comprese le meteore: 900, dove trovai a poco i vinili della Base Records, Hot Rats, pieno di cd d’importazione, e Winona Records, dietro al cui bancone mi ritrovai qualche sabato a sostituire i titolari impegnati a suonare in giro con il loro gruppo, poi divenuto Felipe Records…e ancora quel negozio di mix da dj –il primo che vidi a Genova- in una traversa di Via Luccoli, e quel negozietto microscopico in Sottoripa che chiuse dall’oggi al domani e di cui non si ricorda nessuno, e quel negozio di vinili usati poco sopra Red House e che poi riaprì per poco in Piazza delle Oche, strapieno di rarità a prezzi bassissimi, e Vinil Magic in una traversa di Via Venti e poi trasferitosi al posto di Red House, e Temptations che per tutti era “l’usato in Via Galata”, per non parlare del Pink Moon trasferitosi nell’angolo tra Pollaioli e San Donato), con il conseguente clash di posizioni diverse sulla musica, con gli appassionati di jazz in cerca di ristampe sempre più accurate fianco a fianco a ragazzini in cerca dell’ultima sensazione made in U.K., chi rimpiange i Gentle Giant che non comprende –sensazione reciproca- chi rimpiange i Fugazi, i poster dei concerti blues al Raindogs affianco a quelli indie-rock di Disorderdrama, il chiodo dei metallari e i completi di chi torna dall’ufficio.
Un incontro che genera a volte consigli reciproci, incomprensioni e fraintendimenti, mischiati agli inevitabili discorsi sulla musica in generale e tutto il resto.

Ad ogni annuncio di chiusura è stata una parte della mia adolescenza che se ne è andata: devo a tutti gestori e commessi di quei piccoli posti buona parte di quello che so sulla musica, grazie a consigli mirati, alle occhiatacce per qualche acquisto dettato dalla moda del momento e da facili entusiasmi per un singolo orecchiabile, agli sconti quando smettevo di essere cliente occasionale per diventare cliente affezionato, e all’atmosfera generale che vi si respirava dentro.
Tutto questo un negozio on-line o un download non lo potrà mai dare, al massimo potrà far risparmiare nel comprare un disco deludente che probabilmente un negoziante serio avrebbe sconsigliato di comprare, indirizzando magari su qualcosa di analogo ma di migliore, magari fa compare dieci dischi invece di due di cui non si avrà mai il tempo di ascoltarli sul serio o fa downloadare intere discografie che si sentiranno distrattamente tutte d’un botto, senza invece partire dai dischi migliori che nessuno avrà suggerito.

E soprattutto viene a mancare quel fattore umano –le persone conosciute anche solo perché interessate alla stessa copia di un disco introvabile, quelle che ti vedono comprare a colpo sicuro un disco di cui hanno solo letto e ti chiedono com’è e mille altri casi- che nessun social network potrà mai dare: per un appassionato di musica i negozi sono il VERO social network, e a questo punto credo di non dover spiegare perché. (Giulio Olivieri)

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