"Per chi, come me, arriva dalla bigia provincia savonese, Disco Club ha rappresentato la prima tappa di un acculturamento schizoide, fatto di LP scelti, agli inizi, in base ai colori delle copertine, alla consistenza del cartone e al suo odore piuttosto che alla loro sostanza musicale. Preadolescenza trascorsa in compagnia dei Beatles e temendo il prog, le vacche magre di inizio anni Ottanta, il buco nero dell'informazione a senso unico: quella musicale di allora, già nostalgica e revivalistica.
In un negozio stretto e difficile da frequentare in più di dieci, ho scoperto per caso la sostanza del rock: una sostanza spersa fra residui di ciclostili con testi tradotti, di Pink Floyd o King Crimson, le magie del temuto (e poi odiato) prog, il fulmine di Forever Changes dei Love, le sottotrame dei movimenti, la poesia del folk e le avventure della psichedelia, la oscura sensazione che tutto questo, un giorno, avrebbe potuto far parte inestricabile della mia vita. E' successo, mio malgrado, e sono finito altrove, in tutti i sensi. Oggi non ho idea di come si possa coltivare una passione del genere senza un luogo di incontro concreto, fuori dalle cuffie dell'iPod o della cameretta, con computer annesso. C'è chi rimane in quel mondo virtuale e non sa cosa si perde: il piacere di sorprese e fregature patite fino in fondo, ma soprattutto la costruzione di una propria via nella musica, tracciata ogni giorno da un disco diverso. Sapori di una volta? A guardarsi bene intorno, non è affatto detta l'ultima parola". (John Vignola)
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