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RIFLESSI E REFLUSSI, ovvero “look forward into the past“
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RIFLESSI E REFLUSSI, ovvero “look forward into the past“ Hot

ImageA chi scrive è recentemente capitato di ascoltare con attenzione Love, sorta di anamnesi beatlesiana uscita lo scorso anno sotto le feste di natale, prodotta e pensata dal quinto dei Beatles: quel George Martin che del gruppo era il padre putativo oltre che il produttore. Una specie di “antologia” colpevolmente trascurata allora, a causa del netto sentore che fosse un nuovo trucco per impacchettare l’ennesima strenna natalizia con il marchio dei Fab Four. Col senno di poi, invece, Love appare opera intrigante, spettacolare, suggestiva, a tratti stupefacente e in grado di fare il paio con il reperto Let It Be Naked. Il disco è un appassionante, avvolgente montaggio di brani, frammenti musicali, prove di studio e quant’altro, capace di trascinare l’ascoltatore nel flusso di coscienza più imprevedibile e visionario. Un lavoro studiato con cura nei minimi dettagli eppure fresco, dal sapore autentico e originale. Un album capace di fondere e confondere in un tutt’uno l’intero corpus musicale dei Beatles, come se qualsiasi nota pensata dai quattro possa incastonarsi in un qualunque momento della loro carriera artistica a prescindere dal punto in cui la si estrapola: un’idea già di matrice zappiana. La magia di Love conserva in sé tutto lo spirito della psichedelia beatlesiana e ne ricorda immediatamente il disco manifesto: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.
Il sergente Pepe, uscito nei primi mesi del 1967, è universalmente riconosciuto come l’album psichedelico per eccellenza (almeno per quel che riguarda il Regno Unito e con il dovuto rispetto per il barrettiano Piper At The Gates Of Dawn). Un lavoro topico, espressione di un apice artistico irripetibile e di un equilibrio formale fin lì senza precedenti: una perfetta istantanea del famoso movimento underground della “Swingin’ London”, prologo della cosiddetta “estate dell’amore”. E proprio di “Swingin’ London” vogliamo parlare, a partire però da un dimenticato disco dei Touch, forse il primo gruppo rock progressivo americano che la storia abbia registrato. Il loro splendido omonimo album d’esordio, datato 1968, appare all’ascolto come una sorta di Love ante litteram, capace di mescolare e frullare in anticipo tutto quello che di lì a poco il prog britannico sarà in grado di produrre. In sostanza, una specie di incredibile e virtuale montaggio tra Genesis, Family, Van Der Graaf Generator, Pink Floyd, Jade Warrior, Robert Wyatt, Uriah Heep e quant’altro. L’album raggiunge livelli epifanici quando a metà del settimo brano la chitarra solista, accompagnata da tutto il gruppo, intona alla perfezione le note di Shine On You Crazy Diamond, il celebre brano floydiano (datato 1975) dedicato a Syd Barrett.

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