Il pianista di origine indiana, ma nato ad Albany, stato di New York, nel 2016 ci aveva regalato uno dei più bei dischi dell’anno insieme al trombettista Wadada Leo Smith. Ora ritorna con dieci composizioni originali eseguite da una formazione del tutto inedita (anche se con collaboratori di vecchia data), un sestetto completato da Graham Haynes (tromba), Steve Lehman (sax alto), Mark Shim (sax tenore), Stephan Crump (contrabbasso), Tyshawn Sorey (batteria). Inserendosi idealmente nel solco del collettivo M-Base di Steve Coleman (di cui Haynes è stato una delle colonne portanti e che Iyer aveva chiamato a collaborare nel suo primo disco nel lontano 1995), il progetto esprime al meglio il pensiero musicale del pianista: parti scritte e improvvisate si combinano senza soluzione di continuità, nel funky elettrico di “Nope” come nella pulsazione indianeggiante di “Good On The Ground”.
Al centro del disco c’è “For Amiri Baraka” (eseguito in solo trio), dedicato al poeta e scrittore afroamericano per il quale “Un uomo è libero o non lo è”. Forzando la metafora, l'affermazione è altrettanto valida per il jazz; ma Iyer sa perfettamente che nel momento in cui il discorso si fa collettivo non si può fare a meno di regole e strutture per raggiungere compiutamente l’obiettivo. E questo disco ci riesce perfettamente. (Danilo Di Termini)