Nel centenario della prima incisione discografica jazz (Original Dixieland Jass Band, 26 febbraio 1917) il dibattito tra contemporaneità e tradizione, tra cos’era il jazz e in cosa si sia trasformato, è quanto mai vivo (magari non interessante, ma questo è un altro discorso). A gettare un sasso nello stagno delle placide acque di chi pensa che si debba ripensare formalmente al passato (un nome per tutti, Wynton Marsalis) o in quelle ribollenti di chi invece continua a spingere verso l’innovazione radicale (e a volte poco ‘comprensibile’) arriva l’ensemble del bassista e compositore Matthew "Moppa" Elliott. Originariamente un quartetto (senza pianoforte), MOPDtK nel corso del tempo si è trasformato fino ad assumere le sembianze mingusiane di un settetto in cui ai membri originari (oltre a “Moppa” il sassofonista Jon Irabagon e il batterista Kevin Shea) si sono via via aggiunti il pianista Ron Stabinsky il trombettista Steven Bernstein, Brandon Seabrook al banjo e Dave Taylor al trombone basso. E per entrare nel dibattito (dopo aver ri-suonato letteralmente nota per nota “Kind of Blue” in un disco del 2014) sceglie otto composizioni originali (i cui titoli sono toponimi di misconosciute città o celebri romanzi americani), eseguite apparentemente in un impeccabile stile ‘traditional’; ma in ognuna, quasi impercettibilmente, si annidano embrioni di follia free pronti a deflagrare fragorosamente, per poi ritornare disciplinatamente nei ranghi dello swing più canonico. Disco che non si smetterebbe mai di ascoltare tanta è la gioia di aver trovato un’altra soluzione per innovare nel segno della continuità. (Danilo Di Termini)