Tra gli ultimi dischi di Stefano Bollani c’è un Gershwin con l’orchestra sinfonica, un duo di pianoforti con Chick Corea, uno con Irene Grandi e l’originale omaggio a Zappa: a cercare di classificarlo c’è da perdere la testa. Lui, imperturbabile, afferma di riconoscersi pienamente nel progetto appena ultimato. In questo caso un disco in solo quasi interamente dedicato al Fender Rhodes con tre brani cantati (non è la prima volta, anzi), ma composte interamente da lui. E allora se si vuole comprendere fino in fondo il suo universo musicale, bisogna aver pazienza e ascoltare. Una volta per rimanere sorpresi o perplessi, una seconda per ritrovarsi a cantare il refrain di “Microchip” e della canzone che dà il titolo all’album, una terza per concentrarsi sulle trami musicali che prendono spunto da “Quando, Quando Quando” o da “The Preacher” di Horace Silver, da “Matilda” o da “You Don’t Know What Love Is”. Se cercate la presunta purezza del jazz, girate al largo, altrimenti questo è il disco per voi. (Danilo Di Termini)