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Qualche giorno fa Jarvis Cocker, il leader dei Pulp, recensendo per il quotidiano inglese The Guardian la raccolta delle lettere di John Lennon, poneva l'accento sui cinquantenari che si stanno festeggiando in questo periodo: il primo 45 giri dei Beatles, il primo film di 007 (entrambi il 5 ottobre), il mezzo secolo dei Rolling Stones, celebrato con un nuovo brano inedito dopo sette anni, probabilmente registrato senza mai incontrarsi. Commentando il fatto di essere nato subito dopo una sorta di esplosione (Cocker è del 1963), Jarvis si domandava ironicamente se non fossimo destinati a spendere la nostra vita a ritroso per cercare di arrivare il più vicino possibile al fatidico momento del Big Bang, per poi chiudere l'articolo con una naturale esortazione a guardare avanti ("We, the children of the echo, should get a life. We, the children of the echo, should know better. schermata 2012-10-14 alle 14.17.54Time to move on. Imagine that."). Se anche in Inghilterra si propone il problema di un eterno ritorno del passato, qui da noi ovviamente la situazione è ben peggiore: il passato non se ne è mai andato, tanto che Adriano Celentano (nato 3 anni e mezzo prima del più anziano dei Rolling Stones, Charlie Watts), ha sbaragliato ogni concorrenza televisiva con il suo show in onda su Canale 5: nonostante gli inciampi, gli stop e le ripartenze (ma il Molleggiato queste scene le ha sempre fatte, ben due volte a Sanremo, anche l'anno in cui vinse con la terribile "Chi non lavora non fa l'amore"), "Rock Economy" ha ottenuto uno straordinario 30% di share (roba da nazionale di calcio), con i fischi del pubblico che stipava l'Arena di Verona, riservati solo ai sermoni in salsa ecologica del ragazzo della via Gluck. Ma il titolo, involontariamente crediamo, spiega tutto: economia, intesa in senso lato come business, del rock. O se volete, per rubare una citazione di quasi cinquant'anni fa dell'immenso Frank Zappa, "We're only in it for the money" (anche la di lui moglie, che sta rimasterizzando per l'ennesima volta tutto il catalogo del nostro). Così il problema del ricambio generazionale si pone nella giusta prospettiva: i vecchi non mollano fino a che avranno qualcosa da dire (vedi il Dylan di "Tempest") e, anche nel caso più probabile che non ce l'abbiano, continueranno a perpetrare il loro fulgido passato finché qualcuno non staccherà la spina dell'ampli (ma solo se gli incassi non saranno all'altezza). Così in fondo fa quasi sorridere il povero Renzi (classe 1975) che si scaglia contro Bersani (classe 1951, praticamente un giovanotto) e contro la classe politica in generale da rottamare: anche lì sarà dura, fino a quando il finanziamento pubblico sarà all'altezza e qualcuno non si deciderà a staccare la spina.

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