Come il quartiere da cui prende il nome – in cui storicamente si ritrovavano gli intellettuali, gli artisti, gli studenti della vicina università della Sorbona e i musicisti jazz nei club che un tempo affollavano la zona – la musica di questo italianissimo gruppo è una commistione di elementi di origini diverse, sotto l’egida condivisa del jazz. C’è la Francia ovviamente (“Musette da viaggio. Long time ago” e “Bebe” di Hermeto Pascoal in una versione dichiaratamente ispirata da quella di Richard Galliano); c’è il jazz-rock dei Weather Report, e anche quello degli Steps Ahead; e c’è il Sudamerica di “Minha Sambinha” e di “Argentina”. Ma soprattutto si apprezza una non consueta capacita compositiva (otto i brani originali a firma di Luca Cresta: menzione per l’irresistibile “Anubi”) sommata alla tecnica impeccabile di un quartetto formato, oltre che dal leader al pianoforte e alle tastiere, da Fabio Lanzi (sax tenore e soprano), Roberto Costa (basso elettrico) e Massimo Grecchi (batteria), con l’aggiunta (centratissima) di Giovanni Acquilino al flauto. Solare, luminosa, leggera (nel senso più positivo e calviniano del termine), con “Direttore” la musica di La Rive Gauche acquista toni più dolenti e riflessivi e ci conduce alle uniche due ‘cover’ dell’album, la citata “Babe” e la convincente rilettura di “Tell me a bedtime story“, titolo proveniente dal primo album più esplicitamente funk di Herbie Hancock nel 1970 (poi ripresa anche qualche anno dopo da Quincy Jones). Se forse non avrebbe guastato un pizzico di spregiudicatezza jazzistica in più, la seducente essenzialità di “One” ne fa uno dei dischi di jazz italiano più interessanti del 2019. (Danilo Di Termini)