Di Adrian Crowley, da Dublino, ci siamo persi qualcosa, visto che questo è il settimo disco del cantautore irlandese; la sua profonda voce baritonale, supportata in gran parte da strumenti acustici e dagli archi di un piccolo ensemble, crea dense atmosfere, a volte gotiche alla Paul Roland, come in The Magpie Song, a volte più marcatamente folkloriche come nello splendido racconto The Wild Boar, dove il parlato evoca la grande tradizione orale irlandese, mentre in Hungry Grass l’eco di Love Will Tear Us Apart aleggia forse un po’ troppo nell’atmosfera oscura del brano. Dato il timbro vocale, Crowley, si confronta con il rischio di facili paragoni ( Bill Callahan, Leonard Cohen, Tindersticks) , ma il disco non è assolutamente derivativo e di grande impatto, anche se richiede una buona attenzioni ai curatissimi testi d’impianto letterario per goderne del tutto la complessità. (Fausto Meirana)