La terza vita di Mark Kozelek (ossia Sun Kil Moon) è ammirevole, a prescindere. Diversamente da tanti veterani che si auto-riciclano all’infinito (anche bene) Mister Kozelek ha trovato (a decenni dai Red House Painters e dagli esordi) una nuova via alla musica, inaugurata con il fortunato Benji del 2014 e da allora pervicacemente percorsa. È una via logorroica e personale, con Mark che appoggia torrenziali monologhi (spesso parlati, al limite del rap) su basi genericamente indie rock (c’è Steve Shelley, già Sonic Youth, ai tamburi). L’effetto è straniante; come trovarsi nel mezzo di un flusso di coscienza senza salvagente; tra ombre folk, sintetizzatori, elettriche e improvvise melodie. Aggiungete che il disco è doppio e appare, chiara, la natura poco compromissoria del progetto. Prendere (a piene mani) o lasciare. Ma la terza vita di MK è ammirevole. (Marco Sideri)