Neil Young, instancabile e iperattivo come al solito, torna con una nuova piacevole manciata di canzoni originali (registrate dal vivo in studio), dopo la "bislacca" parentesi di "A Letter Home", risalente a solo qualche mese fa. L'utilizzo di un'ampia orchestra sinfonica (non nuovissimo nella vicenda del rocker canadese, ma neppure così frequente, anzi), compresa di coro, dai modi delicati, non roboanti, ma non melliflui o eccessivamente "barocchi", oltre che di una big band (si ascolti il divertito esperimento di "Say Hallo To Chicago": lo sfizio di provare a cantare anche uno swing, senza prendersi troppo sul serio), sembra essere la novità principale. Dieci canzoni, che, per i nostalgici delle "vecchie formule", sono interpretate, nella versione deluxe, anche in chiave più o meno acustica in solo dallo stesso Young (alle corde, anche smorzatamente elettriche, o al pianoforte).
E con ottima resa, per altro (si presti, per esempio, attenzione alla versione alternativa di "Say Hello To Chicago", con Neil Young al pianoforte che pare persino evocare Abdullah Ibrahim). Ma forse un po' controcorrente, preferiamo brevemente parlare (nel senso che ne accettiamo il gioco e in qualche modo la "sfida") delle versioni con orchestra, band e big band (d'altronde sono l'anima principale di questa pubblicazione), che, apparentemente stucchevoli o banali, custodiscono invece un'armonia d'insieme, pur nel particolare accostamento di diversi stili, un equilibrio interno e una fluidità che non avremmo pronosticato. Qui Neil Young si richiama spesso e con evidenza ad album epocali o di valore come "After The Goldrush", "Harvest", "Comes A Time" (e questo basterebbe a garantire la qualità di quest'ultimo progetto), salvo un paio di divertenti "bluesacci" ("I Want To Drive My Car" e "Like You Use To Do"), e il già citato swing, che appartengono certo ad altre atmosfere. Ma, nonostante questo sguardo rivolto al passato, quello di "Storytone" è un Neil Young fortemente inscritto nel suo presente, davvero espressione di quel che è oggi (magari stanco, "sbiadito", ma non patetico: sempre in lotta), anche a partire dalle geniali grafiche di copertina, tra il vintage e il futuribile, che almeno da "Greendale" in avanti continuano felicemente ad accompagnarlo. L'episodio più interessante è senz'altro l'antemica e ambientalista "Who's Gonna Stand Up?" (quanto tempo è passato da "After The Goldrush"? eppure siamo sempre qui a parlare, per esempio, di alluvioni su territori devastati dalla feroce, criminale e dissennata cementificazione o dalla colpevole incuria), già davvero un classico, sia nella luminosa versione orchestrale, che in quella più semplice ed essenziale voce e banjo. Inesauribile. (Marco Maiocco)