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Rock Recensioni KELLY JOE PHELPS - Brother Sinner And The Whale
 

KELLY JOE PHELPS - Brother Sinner And The Whale KELLY JOE PHELPS - Brother Sinner And The Whale Hot

KELLY JOE PHELPS - Brother Sinner And The Whale

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Titolo
Brother Sinner And The Whale
Anno
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Chitarrista sontuoso - eccezionale la sua tecnica slide, articolato e scioltissimo il suo fingerpicking ricco di armonici - talentuoso songwriter, il washingtoniano Kelly Joe Phelps, classe '59, torna dopo tre anni con un nuovo disco in studio, ricapitolazione ispirata e affascinante dell'acoustic music americana. Da sempre grande appassionato di blues, a partire da artisti come Mississippi Fred McDowell e Mississippi John Hurt, per un decennio bassista jazz, molto influenzato dal free di Ornette Coleman, con le sue improvvisazioni motiviche e le sue "bizzarie" armolodiche, ottimo cantante intriso di intensa soulfulness, in questo "Brother Sinner and The Whale", che lo "fotografa" in solo alle prese con un paio di fidatissime chitarre (una national steel guitar - la cosiddetta dobro - e una martin D 35), Phelps snocciola dodici nuovi piacevolissimi brani, sospesi tra il blues, il gospel e la ballata pentatonica, dalle profonde tematiche bibliche e spirituali, e dagli accenti profetici. Come un folgorato sulla via di Damasco, infatti, sul canovaccio del libro del profeta Giona, Phelps costruisce una vera e propria predicazione in musica, che ricorda molto da vicino il brevissimo, ma fervente, periodo mistico religioso del Dylan di "Slow Train Coming" o (musicalmente) le sardoniche trasfigurazioni ieratiche di quel visionario virtuoso delle corde, dal pigro incedere, che è stato John Fahey. Giona aveva rifiutato di andare a portare la parola di Dio a Ninive, in modo da diffondere fra i gentili la religione ebraica, che per volontà divina doveva (appunto) aprirsi all'ecumene, della quale bisognava tenere conto e occuparsi; per questo, scappando dal fondamentale compito che gli era stato affidato, era finito nel ventre della balena, o chissà se tale, simbolo del ripiegamento in se stessi. Phelps, invece, dal ventre della balena è uscito molto tempo fa, probabilmente a partire dal momento in cui, una ventina d'anni orsono, ha cominciato a "incidere" dischi, complice la nascita dell'amatissima figlia. E, quindi, eccolo calarsi agevolamente nei panni del predicatore biblico, e senza alcuna pesantezza o fanatismo, ma anzi con la leggerezza e (diremmo) la discrezione di chi ha trovato conforto nella fede e nella narrazione della sacra scrittura (metafora dell'esistenza) e di chi confida, come nella perfetta tradizione della musica afroamericana di estrazione battista (pensiamo soprattuto al gospel), di infondere negli animi (riuscendovi) sollievo e pacificazione. Ma è soprattutto la musica, a prescindere dal testo (per quanto ad esso funzionale), a fare davvero la differenza: un'ammaliante e colta riarticolazione di stilemi e moduli old-time, sapientemente restituiti e autenticamente interpretati. Per farsene un'idea, si ascoltino anche solo che gli strumentali "Sometimes a Drifter" e "Brother Pilgrim", impeccabili ed emozionanti saggi di bravura. Illuminato. (Marco Maiocco)

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