Uno dei problemi che affliggono il recensore di dischi è che a volte ripetere la stessa trita storia è inevitabile. Corsi e ricorsi stilistici fanno sì che un suono, in un dato periodo, caratterizzi enormi quantità di album (e recensioni). Esempio principe? Il folk. È stato rimaneggiato, mescolato, girato di dritto e di traverso senza posa da oramai 15 anni buoni. Cosa dire allora del terzo disco di un gruppo che di folk rimaneggiato si occupa, con una passo quasi punk ante litteram, picchiando i banjo come fossero elettriche rabbiose? Si possono citare i Violent Femmes per descrivere la gioiosa malinconia dei brani; oppure notare che rispetto ai dischi precedenti la scrittura si è evoluta di molto, perdendo in aggressività e guadagnando in sostanza e profondità. Servirà a dare al lettore l’idea che non si tratta del solito disco new folk? Speriamo. (Marco Sideri)
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