Come fare un excursus della musica folk americana degli ultimi quarantenni? Come cercare di collegare e mettere in comunicazione la rivoluzione musicale della fine degli anni sessanta, inizio settanta, con le sonorità più moderne e dinamiche dell’indie del nuovo millennio? I Fleet Foxes si sono posti questa domanda e, dopo il successo planetario e la ribalta seguita all’omonimo debutto del 2008 provano a interpretare a modo loro un percorso lungo mezzo secolo, incontrando i Byrds, Brian Wilson Electric Prunes o John Fahey solo per citarne qualcuno, come ammesso da loro stessi. E così in una selva di strumenti dei più disparati (si va da tremule hawaiane a campane tibetane), Robin Pecknold e compagnia riescono a regalarci un insieme di ballate oniriche frutto dell’incrocio tra una perfezione certosina e una deriva creativa neohippie senza schemi. (Giovanni Besio)
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