A dire il vero riuscire a entrare appieno in questo disco e assaporarne bene e piacevolmente tutti i toni e le diverse sfumature non è stato un processo immediato, spontaneo, e nemmeno una rivelazione naturale in seguito a un flash, ad una illuminazione improvvisa. Subito, a un ascolto già di per sé critico dato il vociare che si era fatto, l’impressione di pancia è di qualcosa di già sentito e di metabolizzato andando a pescare a piene mani nell’universo indiefolk e anche un po’ elettronico della scena nordamericana. Una chance in più, il tempo di un viaggio in aereo, invece, mi ha sbattuto in faccia la forza e la bellezza di Halycon Digest. Perché HD riesce in maniera suadente a rapire, a distogliere l’attenzione, a farci godere appieno della musica in sé. E anche se non sarà l’album seminale della new-indiewave del terzo millenio (infarcito come è di riferimenti a quel mondo che spazia dagli Animal Collective agli Arcade Fire), l’ultimo lavoro di Bradford Cox e soci ha la grazia di farci godere della musica staccando la spina. (Giovanni Besio)
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