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Gli intrecci di archi, voci, chitarre, organo e pianoforte regalano alle canzoni, ben scritte, una profondità che gli scarni suoni acustici del capitolo precedente non sapevano delineare. A fare da angelo custode, un santone moderno come Devendra Banhart, che insieme ad un nutrito gruppo di amici e collaboratori contribuisce a ricreare quell’idea di comunità che il culto dell’individuo nel rock aveva consegnato finora al dimenticatoio. (Marco Sideri)