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Rock Recensioni ROKIA TRAORÉ – Tchamantché (Universal Music 2008)
 

ROKIA TRAORÉ – Tchamantché (Universal Music 2008) Hot

ImageTchamantché (“equilibrio” in lingua bambara) termina con una ghost track suggestiva ed insolita per un’artista africana impegnata da sempre a reinventare la propria tradizione: si tratta di una folgorante versione di “The Man I Love”. La vecchia Gretsch (chitarra elettrica d’elezione per il rock ‘n roll e il rockabilly) scandisce delicatamente gli accordi, mentre le corde pizzicate di uno ngoni (la piccola chitarrina maliana dal suono basso e rotondo come quello di un liuto) sgranano le note della celebre melodia. E’ a questo punto che Rokia intona il proprio canto incantato, tratteggiando uno dei più originali, gentili e grati omaggi a Billy Holiday e alla sua vicenda artistica. Siamo di fronte al solito magico e fatato circuito della storia: il jazz e il blues, musiche afro-americane per eccellenza frutto dell’odiosa diaspora, tornano in Africa per essere ripensate e rielaborate. Un po’ come quando il ruggente afro-beat di Fela Kuti strizzava l’occhio al sofisticato jazz-rock di Miles Davis: idiomi complemetari, facce di una stessa medaglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo quinto delizioso album, Rokia si appoggia meno sui suoni della tradizione per tornare all’uso della chitarra elettrica (suo vecchio amore) e a sonorità più nero-americane. Un’operazione affascinante e al contempo pericolosa, perché la allontana dal rassicurante alveo della raffinata e cosiddetta world music, per avvicinarla all’impetuoso e magmatico mondo del popular. La aiutano Phil Brown, produttore di Beth Gibbons (la misteriosa voce dei Portishead) e non solo, e Calum McCall, co-produttore, cantante folk e collezionista di chitarre (tutte messe gentilmente a disposizione). A dispetto di maligne previsioni, l’album conserva la consueta grazia e profondità dell’opera di Rokia Traorè e (anzi) acquista in termini di rigore ed essenzialità con un incedere ancor più intimo e sussurato: emozionante. “Perché il pop è un atteggiamento, un suono che attira immediatamente senza sorprese, fatto apposta per degli hit. Chi non vorrebbe fare un hit? Ma non ad ogni costo, e io non amo il suono pop di adesso.” Perché il popular, aggiungiamo noi, è categoria multidimensionale e multistratificata capace di comprendere cultura alta e cultura bassa in un eterna stimolante dialettica dell’articolazione. (Marco Maiocco)

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