Vinta con lo splendido cd triplo 69 Love Songs (1999) la scommessa più azzardata della sua carriera, Stephin Merritt deve aver pensato di essere artisticamente onnipotente o quasi. In realtà, negli ultimi anni l'iperattivo e proteiforme Merritt non ha lasciato molte tracce memorabili, incluso i, il precedente titolo a nome Magnetic Fields. Anche Distortion rischia di restare nel limbo dei dischi interessanti (e intelligenti) e nulla più. Stavolta l'idea di partenza è stata di sottolineare le consuete ballate sentimentali un po’ malinconiche un po’ frou frou (Mr. Mistletoe, I’ll Dream Alone) con suoni più polverosi e frastagliati del solito (da cui il titolo dell’album). Si dirà che in Merritt l’artificiosità non è sovrastruttura bensì parte integrante del lavoro d'artista, ma meno autocompiacimento (Zombie Boy) e più sentimento (percepibile solo in Till The Bitter End e Courtesans) avrebbero reso più sostanzioso un disco che invece, anche dopo qualche ascolto, scivola via senza restare nei ricordi. Fa eccezione solo la brillante California Girls (“I hate California Girls…”), forse perché in qualche passaggio ricorda la Terra Promessa ramazzottiana.
Una curiosità: visitando il sito di Merritt, www.houseoftomorrow.com , è possibile ascoltare A Million Faces, un brano da lui composto su commissione e su ispirazione “indotta” (bella anche tutta quanta la storia). Buffo a dirsi, la canzone è migliore di tutte quelle ascoltate su Distortion. (Antonio Vivaldi)
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