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Rock Recensioni JOANNA NEWSOM - Ys (Drag City 2006)
 

JOANNA NEWSOM - Ys (Drag City 2006) Hot

ImageIn questo sito si è già parlato in una recensione brillante di Joanna Newsom e di Ys, il suo ultimo lavoro discografico uscito lo scorso autunno. Riteniamo, però, utile soffermarci ancora sull’argomento, data la strabiliante originalità e arditezza del progetto di questa giovanissima arpista, qui solo al secondo disco di un percorso artistico che appare già luminoso e in grado di stupire ad ogni tappa. Difficile trovare nel panorama pop internazionale qualcosa cha abbia il sapore della sorpresa, del mai udito e allo stesso tempo così in grado di intrecciarsi profondamente con tutto quanto lo ha preceduto. Come dire che tutto si tiene e tutto scorre. Piacere sinestesico, perché anche la copertina, come conviene ai grandi dischi, per quanto manieristica possa sembrare cattura per sensualità, magia e magnetismo. Sembra un quadro di Leonardo Da Vinci o uno dei tanti autoritratti di Joni Mitchell, o una scena di Funny e Alexander di Bergman, o la copertina di un qualsiasi disco del folk rock inglese che fu (ci viene in mente Bridget St. John) o la Baccador del Signore degli Anelli che flirta con il John Barleycorn dei Traffic e molto altro ancora, senza temere accuse di eccessiva visionarietà.

Il disco d’altro canto è un capolavoro della musica indipendente sospeso tra acidità californiane e folk inglese, tra reminescenze stivelliane e guizzi lunatici di memoria zappiana. Cinque ballate dal sapore antico e avvenieristico allo stesso tempo che potrebbero non finire mai, come le improvvisazioni di Oum Kalsoum. Gusto dylaniano per la lunga narrazione ad opera di una voce ora bambina, ora isterica, ora sensuale, ora elfica a metà strada tra le evoluzioni di Bjork e gli intervalli impossibili di Keith Bush. Su tutto un magico incontro-scontro, contrasto, dialogo, conversazione affannata tra il canto di Joanna e gli onirici arrangiamenti per orchestra d’archi ad opera di Van Dyke Parks, mattatore del disco come la protagonista e grande sciamano della scena pop statunitense, a cominciare (per esempio) dalle sue collaborazioni con Brian Wilson e i Beach Boys. Timbri e colori di una tavolozza ricchissima che si intrecciano al limite della dissonanza in un continuo gico di rimbalzi che si sfidano senza sosta. Un disco non facile, ma non impossibile per chi voglia farsi sorpendere, non un calcolo intellettuale ma qualcosa che cerca di guardare lontano senza perdere lezioni passate, spostando forse un po’ più in là linea di un orizzonte sul quale troppo spesso siamo adagiati. (Marco Maiocco)

 

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