Quando per sopravvivere non bastano i Santi ci vogliono i Supersantos! Il nuovo disco di Alessandro Mannarino, talento nascente delle borgate romane e finalista del premio Tenco, è un viaggio dall'alba al tramonto in un mondo di miti urbani e di personaggi lasciati al margine, tra fiabe moderne – con le voci di splendide principesse (Simona Sciacca e Claudia Angelucci) - e allucinate lettere malinconiche. A tre anni dalla rivelazione di Bar della rabbia il cantautore è cresciuto e maturato: non più canzoni goliardiche e ubriache ma calde ballate che si aprono al panorama internazionale, mischiando lingue, citazioni e influenze, che girano in vortice verso la Fine del Mondo, inevitabile e attesa. Dall'antropologia alla poesia, il giovane stornellatore sembra omaggiare gli Animals di House of the rising sun (L'Onorevole) e il cinema d'autore e le visioni oniriche. Così il suicida se ne va mesto "su una barca d'argento, una barca che vola" e le storie si rincorrono in un'atmosfera circense e felliniana. Ma – forse perché sono genovese – il primo confronto che mi passa per la testa è quello con La buona novella del nostro Fabrizio de' Andrè. E il paragone non è tanto azzardato: in Supersantos si fa forse meno esegesi ma i figuranti ci sono tutti, dai lavoratori sempre più sconfitti agli stranieri; dalle "donne del porto" in abito corto ai personaggi di un nuovo Vangelo magico e precario al dio dalle orbite buie; e poi c'è l'amore, vissuto e assaporato sempre sull'orlo dell'addio. (Elena Colombo)
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