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L'ARCIPELAGO SENETSKIJ
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Miscellanea Articoli miscellanea L'ARCIPELAGO SENETSKIJ
 

L'ARCIPELAGO SENETSKIJ Hot

Intro

Era il dicembre 1967, quando i Doors di Jim Morrison scagliarono sul mondo un apocalittico “music is your only friend / until the end”: togliete “only” (insomma, non esageriamo) e l’Anatema si tramuta in Verità. La musica parla attraverso una sola lingua, ma in molti dialetti: tanti di questi sono sconosciuti perché parlati in angoli remoti, altri sono considerati espressioni morte come il cuneiforme assiro, e il risultato è che dalla fonte di musica più economica a disposizione, detta altrimenti “radio”, esce una sorta di slang uniforme. Taccio delle discoteche di “tendenza” con ritmi da altoforno (siamo ai monosillabi ...): intrattenimento, per essere generosi, ma Musica sta altrove, in questi dialetti dimenticati o esotici. Qualcuno di essi potrà avere assonanze familiari e sarà più facile ed immediato da comprendere, altri pretendono dedizione di ascolto: io posso solo piazzare qualche bandierina di segnalazione nelle mie aree predilette, rock in qualunque accezione / commistione dal 1960 a oggi, con un occhio di riguardo per il passato da riscoprire. Già questo è un mare sterminato, interrotto da pachidermici continenti, isolotti sperduti, arcipelaghi curiosi: le bandierine, lungi dall’idea di fare ridicole classifiche, saranno piazzate in locazioni strategicamente distanti per invogliarvi all’esplorazione autonoma delle aree limitrofe (converrete insensato bruciare dieci segnali sulla penisola King Crimson - armatevi di mappe e partite).


Il Musiconauta
(Luciano Senes)


 

 

 

 

Area Are(A)zione (1975)
Beatles Rubber Soul (1965)
Big Brother & The Holding Co. Cheap Thrills (1968)
Bob Dylan Highway 61 Revisited (1965)
Byrds Younger Than Yesterday (1967)
Chris McGregor Brotherhood Of Breath Chris McGregor Brotherhood Of Breath (1971)
Caravan In The Land Of Grey And Pink (1971)
Colosseum Valentyne Suite (1969)
Cream Disraeli Gears (1967)
David Crosby If I Could Only Remember My Name ... (1971)
David Sylvian Gone To Earth (1986)
Dead Can Dance Into The Labyrinth (1993)
Doors The Doors (1967)
Family Fearless (1971)
Frank Zappa Läther (1977)
Gentle Giant Acquiring The Taste (1971)
Gong Angel’s Egg - R.G.I. part 2 (1973)
Grateful Dead Live / Dead (1970)
Hatfield & The North Hatfield & The North (1973)
High Tide High Tide (1970)
Jeff Buckley Grace (1994)
Jefferson Airplane Crown Of Creation (1968)
Jethro Tull Stand Up (1969)
Jimi Hendrix Experience Electric Ladyland (1968)
Joy Division Closer (1980)
King Crimson Islands (1971)
Kinks The Kinks Are The Village Green Preservation Society (1968)
Laura Nyro Christmas And The Beads Of Sweat (1970)
Led Zeppelin Physical Graffiti (1975)
Love Forever Changes (1967)
Nick Drake Bryter Layter (1970)
Patti Smith Radio Ethiopia (1976)
Pentangle Basket Of Light (1969)
Pink Floyd A Saucerful Of Secrets (1968)
Procol Harum Shine On Brightly (1968)
Quicksilver Messenger Service Happy Trails (1969)
Renaissance Live At Carnegie Hall (1976)
Robert Fripp Exposure (1979)
Robert Wyatt Rock Bottom (1974)
Rolling Stones Sticky Fingers (1971)
Roxy Music For Your Pleasure (1973)
Savoy Brown Blue Matter (1969)
Soft Machine Third (1970)
Traffic John Barleycorn Must Die (1970)
Van Der Graaf Generator Pawn Hearts (1971)
Velvet Underground The Velvet Underground & Nico (1967)
Who Sell Out (1968)
XTC English Settlement (1982)
Yes Yessongs (1973)


 

ImageXTC : English Settlement (1982)

Se i Beatles erano i Fab Four, gli XTC possono certo fregiarsi del titolo di Fab Three ...Sconfinata fantasia, poliedricità, britannica ironia ai massimi storici in questo “album verde”, trasparente d’amore per beat e psichedelia ’60 riletti con i mezzi degli anni ’80: un caleidoscopio di canzoni dallo stile disparato ma sempre accessibile, con un gusto per i piccoli particolari sonori che rende ogni successivo ascolto una miniera di sorprese. Se vi incantate davanti alle vetrine di una pasticceria, questo ne è l’equivalente musicale.
§§§ : gli arpeggi di chitarra di “Yacht Dance” / la sezione centrale di “Melt The Guns”, tutta echi e filtri / l’afro-beat di “It’s Nearly Africa”

ImageDead Can Dance : Into The Labyrinth (1993)

Una spettrale danza per entità inquiete sorte dall’Abisso, evocate dal tenebroso canto di Lisa Gerrard che si staglia su un tappeto di percussioni e fiati con forti tinte etniche. Rarefatti, concettuali, a tratti mistici, aprono le porte alla parte più scura di noi, come se un singolo raggio di luce filtrasse attraverso un pesante, polveroso tendaggio viola.L’ascolto può trasformare in statue di sale coloro i quali credono la musica del nostro tempo banale rumorocrazia povera di contenuti (si tengano cari i tre tenori ...).
§§§ : le nebbie spiritiche di “Yulunga” / il sole primaverile di “Ariadne” / la brechtiana “How Fortunate The Man With None”, scolpita nel marmo.



ImageThe Grateful Dead : Live / Dead (1970)

Una splendida copertina, resurrezione in colori psichedelici, per un rock blues che, iniettato di improvvisazione in acido, arriva a vette creative mai raggiunte prima: lunghissime sezioni strumentali dipingono paesaggi di pura sensazione, e in questi 73 minuti ci si libra altissimi, nelle continue vertigini di crescendo e calando innescate dalla chitarra di Jerry Garcia. Il tempio della libertà in musica, l’acid rock californiano, ha nei Deads del primo periodo la sua pietra angolare.
§§§ : “Dark Star”, decollo, 23 minuti di volo fuori dello spazio-tempo, atterraggio / i serrati dialoghi tra basso e chitarre di “The Eleven” / lo slow blues di “Death Don’t Have No Mercy”.


ImageGentle Giant : Acquiring The Taste (1971)


Raffinatissimi polistrumentisti, capaci di accostare chitarre hendrixiane ad ogni genere di archi, fiati e percussioni; ricercati impasti vocali coronano una musica fresca, imprevedibile nei suoi sviluppi ritmico / armonici, sorprendente per la minuziosa cura del particolare: qui c’è la perfezione amanuense che odora di miniature medioevali, di colori lavorati nei mortai. Grazia leggiadra che sprigiona dall’opera laboriosa di artisti ispirati, di Giganti Gentili.
§§§ : cori e fiati cesellati, il vibrafono che accende la chitarra in “Pantagruel’s Nativity” / ombre acustiche e luci elettriche di “The House, The Street, The Room” / “Black Cat”, elegante e furtiva.


ImageThe Jimi Hendrix Experience : Electric Ladyland (1968)


C’era una volta la chitarra elettrica suonata come un’acustica, accompagnamento ritmico con qualche timido svolazzo: Jimi Hendrix, intuendo le enormi potenzialità dello strumento come generatore di suoni, piegò ai suoi voleri distorsione e feedback (allora considerati fastidiosi incidenti) per riprodurre l’universo sonoro mentale, e dal blues arrivò nell’iperspazio. Genialità compositiva e improvvisativa, una pietra miliare della creatività umana applicata alla musica.
§§§ : la blues jam di “Voodoo Chile”, 15 minuti magmatici / “1983 ...”, sogno sfuocato e distorto / il delirio onnipotente, incendiario di “Voodoo Child (Slight Return)”.


ImageKing Crimson : Islands (1971)


Art rock, energia creativa al servizio della cerebralità: “Islands” è transizione tra periodi diversissimi, ma egualmente illuminati, del Re Cremisi. La chitarra precisa e lancinante di Robert Fripp è il faro di un gruppo in perenne mutazione, alternante acquerelli sinfonico / romantici, epici arazzi ed aspre, violente sonorità metalliche; dopo anni di musica per le viscere, passata la sbornia psichedelica di “espansione della percezione”, ecco finalmente qualcosa che arriva a toccare il pensiero razionale.
§§§ : il delicato, ipnotico incanto di “Formentera Lady” / il secco assolo ad accordi di “Sailor’s Tale” che porta all’esplosione di mellotron / la pace di “Islands”.

ImageJeff Buckley : Grace (1994)

Jeff se ne è andato nel Mississippi poche primavere fa - tragicamente come suo padre Tim - lasciandoci un capolavoro di emozioni e sensazioni forti: una voce estesissima, dono genetico, capace di dolcezza e di rabbia furente, per canzoni autentiche, sofferte, graffianti o carezzevoli, non “interpretate”. La Grazia di avere dentro qualcosa di grande e di saperlo esprimere in versi e musica che distingue i poeti maledetti dal destino: nascono, muoiono stupidamente, e accendono fiaccole inestinguibili.
§§§ : “Grace”, il moto perpetuo del tempo che scorre inesorabile / “Lover, You Should’ve Come Over”, una ballata per chi aspetta / “Eternal Life”, le porte dell’inferno spalancate.


ImageThe Pentangle : Basket Of Light (1969)

Miscelare con sapiente equilibrio blues, jazz e canzoni folk per ottenere costruzioni di fragile, delicata leggerezza: i castelli di carte di Bert Jansch e John Renbourn sono ancora in piedi dopo quasi trent’anni, e sopra i loro contrappunti chitarristici la magia di Jacqui McShee, voce limpida come cristallo. Musicisti eccellenti, ma in primo luogo ricercatori e sperimentatori dediti al ricupero delle tradizioni, staccano le spine dalle prese e ci portano in un piccolo mondo antico senza elettricità.
§§§ : “Light Flight”, lieve come un aereoplanino di carta / glockenspiel e sitar nel dolce canto di “Once I Had A Sweetheart” / “Train Song”, acustica locomotiva ritmica.


ImageThe Beatles : Rubber Soul (1965)

I Fantastici Quattro hanno seminato i germi di tutto ciò che sarebbe venuto in futuro: una loro singola idea, magari buttata lì per gioco, ha creato interi sottogeneri musicali, ha dato la scintilla a nuovi gruppi, ha aperto vie sconosciute anche alla tecnologia del suono. Questo è il disco embrione: basta con canzoni altrui e concerti sommersi dall’urlo incessante delle teenagers, ora solo testi propri, esplorazione di nuovi suoni, barriere divelte sfruttando al massimo - ed oltre - le possibilità dello studio di registrazione.
§§§ : il groove trascinante di “Drive My Car” / il primo sitar nel rock: “Norwegian Wood” / i sospiri di Lennon e 20 secondi di simil-sirtaki in “Girl”.

 

ImageThe Rolling Stones : Sticky Fingers (1971)

Gli Stones, caro, vecchio rock-blues che fa bollire il sangue e mette in moto il corpo ...Prendere il blues dei grandi maestri neri e iniettarlo dell’elettrica energia di riffs incisivi, della sfacciata sensualità di Mick Jagger non più solo per singoli dirompenti da 3 minuti, ma anche per dischi convincenti e variegati come questo, sporco e cattivo come la copertina di Andy Warhol (l’originale aveva la cerniera abbassabile e una prevedibile busta interna ...).
§§§ : “Brown Sugar”, partenza bruciante / la seconda parte di “Can’t You Hear Me Knocking”, percussioni, fiati ed un assolo di chitarra di rara bellezza / “You Got To Move”, scarno e strascicato blues anni ’30.

ImageLed Zeppelin : Physical Graffiti (1975)

Un dirigibile di piombo che sa volare altissimo e lieve, ma quando va in picchiata è semplicemente esplosivo, terrificante: la chitarra di Page e la voce di Plant ineguagliabili sia negli heavy blues dai denti affilati che nei pezzi “mistici”, spiritualmente delicati o potentemente epici, dal sapore celtico / vichingo. Una stele in caratteri runici riferisce che Mjöllnir, il martello di Thor, doveva avere questo suono; vantano 206 tentativi di imitazione (falliti miseramente).

§§§ : “Kashmir”, linee melodiche d’oriente e possente ritmo d’occidente / “Bron Yr Aur”, 2 minuti di pace acustica nel verde Galles / “Ten Years Gone”, ballata densa di ricordi, luci, ombre.

 

ImageTraffic : John Barleycorn Must Die (1970)

Se è vero che la musica avanza tramite la contaminazione di stili e generi, i Traffic sono lucidissimi alfieri del progresso: rhythm ’n’ blues distillato per ritmi e voce, inflessioni jazz per tastiere e fiati, chitarra mai invadente (fatto insolito per l’epoca). Psichedelici per tre dischi, salvano i colori per questa nuova miscela fresca e vivace di fluide progressioni, con piano (e voce) di Stevie Winwood in grande evidenza: non serve alzare il volume, questo è l’arcobaleno dopo tante tempeste elettriche.

§§§ : “Glad”, moto perpetuo che potrebbe durare 70 volte 7 minuti senza stancare / il liquido piano solo di “Empty Pages” / la tradizione folk di “John Barleycorn”.


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ImageThe Who : Sell Out (1968)

Gruppo mod per eccellenza: una raffica di singoli incisivi, devastanti per “tensione dinamica”, un live show leggendario per le acrobazie di Pete Townshend e la pazzia pura di Keith Moon, spesso culminante nella distruzione della strumentazione. Da qui in avanti le idee si dilatano in dischi solidi e fantasiosi, su sentieri diversi dalle vie Beatles e Stones; la mente di Townshend partorisce un disco / radio pirata, con brani multicolori intercalati a jingles e spassosi veri / falsi spots pubblicitari.
§§§ : “Armenia City In The Sky”, volo ronzante, zigzagante e distorto / “I Can See For Miles”, visionaria (onni)potenza / “Rael”, ove si annida il germe di qualcosa di grande in arrivo ...

ImagePink Floyd : A Saucerful Of Secrets (1968)

L’espansione della coscienza attraverso la musica pervade questo disco dei primi Floyd, ancora lontani dalle (troppo) decantate epopee di lune oscure e pazzi diamanti: specialmente le parti strumentali hanno una spazialità cosmica inusitata, fluttuante vertigine di suoni “oltre”. Non è l’astronave lanciata verso l’ignoto, ma la porta che si apre quando precipitiamo nel sonno / sogno: che per toccare l’universo basti davvero chiudere gli occhi?
§§§ : “Let There Be More Light”, le nazioni psichedeliche in volo / l’ipnosi bradicardica di “Set The Controls For The Heart Of The Sun / “A Saucerful Of Secrets”, corridoio buio che sfocia in una stanza di luce maestosa.

ImageJefferson Airplane : Crown Of Creation (1968)

California, terra promessa della controcultura psichedelica: i fiori che vi nascevano erano svariati, di colori vivaci e profumi strani, e mentre la pianta Grateful Dead era rigogliosa di suono, gli Airplanes erano più spostati verso la canzone (spesso apertamente polemica verso le istituzioni). Sulle trame Kantner / Kaukonen / Casady, incantevoli se acustiche, rabbiosamente liberatorie se elettriche, svetta la voce di Grace Slick, mistero ineguagliato di sensuale calore, dolcezza e potenza.

§§§ : l’inatteso cambio di chiave in mezzo a “In Time” / “Triad”, libero amore con Grace delicata e suadente / “The House At Pooneil Corners”, per un mondo migliore.

ImageVan Der Graaf Generator : Pawn Hearts (1971)

Forse Peter Hammill è per la voce ciò che Hendrix è stato per la chitarra; pagato il debito a Tim Buckley, ci porta nel suo mondo di ballate sepolcrali dove il canto può essere un grido urticante e l’atmosfera strumentale ha l’inquietudine dell’imminente apocalisse (che, statene certi, arriva). Composizioni di elegante complessità, con sax distorti e tastiere a tessere affascinanti ragnatele: qui il sole non penetra quasi mai, ma i misteri dell’oscurità esercitano un’attrazione irresistibile ...

§§§ : “Lemmings”, scoppi corali e frantumi dissonanti / “Man-Erg”, l’assassino e l’angelo dentro di noi / le mille voci di Hammill in “A Plague Of Lighthouse Keepers”.

ImageProcol Harum : Shine On Brightly (1968)

La sfortuna di questo gruppo è stata l’immediato successo planetario del loro primo singolo, “A Whiter Shade Of Pale”: dopo la bomba, ogni loro lavoro fu sottovalutato dal coro di critica e pubblico (“carino, ma quello sì che era grande ...”). E invece questi primi dischi sono gustosi dalla prima all’ultima nota, musicalmente variegati, grintosi di chitarra o arabescati d’organo, persino con liriche mai banali. Poi si perderanno nel vicolo cieco della pompa sinfonica, ma le pagine fino al 1970 non sono affatto ingiallite ...

§§§ : chitarra e organo scintillanti in “Shine On Brightly” / “Wish Me Well”, scandita da un bel giro di piano / “In Held ‘Twas In I”, suite in 5 movimenti.

ImageCaravan : In The Land Of Grey And Pink (1971)

Scuola di Canterbury, Kent: la congrega di musicisti ivi gravitanti alla fine dei ’60 ci ha regalato musica di raffinata intelligenza e / o di sperimentazione ardita. I Caravan sono l’ala morbida del movimento, e lo si intuisce fin dalla graziosa copertina fantasy in grigio e rosa: l’amore per la melodia lievemente jazzata, simpatica al primo ascolto, la voce calda e pulita di David Sinclair e l’inconfondibile timbro agrodolce dell’organo del cugino Dave creano un piccolo, favoloso mondo nascosto.

§§§ : “Winter Wine”, con la perla di uno strepitoso assolo d’organo / la fantasia al potere “In The Land Of Grey And Pink” / “Nine Feet Underground”, 23 minuti di sorprese.

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ImageThe Byrds : Younger Than Yesterday (1967)

Tra i primissimi ad infilare la spina nella presa e far diventare il folk tradizionale qualcos’altro, presero una sbornia psichedelica per volare più in alto che mai: del folk rimase la base morbida, e su questa innestarono particolari armonie vocali, chitarre tintinnanti, qualche sonorità stravagante, senza esagerare. La 12 corde di Roger McGuinn, la ritmica di David Crosby, le loro voci fuse insieme per indicare nuove strade - persino al grande maestro Dylan, di cui trasfigurarono molti brani.
§§§ : ”So You Want To Be A Rock ’n’ Roll Star”, acido manuale per diventare Stelle del Rock / “Renaissance Fair”, sogni ad occhi aperti / la dolcezza di “Everybody’s Been Burned”.

ImageLaura Nyro : Christmas And The Beads Of Sweat (1970)

Sensibilità distillata nei testi, tre ottave di estensione per cantare disperazione nera o gioia sconfinata, un pianoforte e talvolta qualche arrangiamento orchestrale, per “colorare il suono”: inutile, perchè la voce di Laura già aveva tutti i colori dell’arcobaleno, ed i momenti più intensi erano proprio quelli in cui restava sola col suo piano, canzoni scarne e splendide nella loro nudità, come alberi d’inverno. Eppure freddo e desolazione restano fuori, perchè c’è sempre quella voce a scaldare il cuore.
§§§ : il mattino gioioso di “Brown Earth” / “Upstairs By A Chinese Lamp”, primavera di sentimenti che diventa ... / ... estate in “Map To The Treasure”.

ImageFamily : Fearless (1971)

Roger Chapman da Leicester, voce di carta vetrata, ruvida e potente, leader di una famiglia di musicisti esplosivi ad alto volume quanto calibrati nei momenti quieti: i Family sono una trascurata pietra miliare che, liberata dal muschio degli anni, sorprende ancora oggi per energia ed originalità. Abili nell’accostare robuste pulsazioni elettriche a violini, fiati e vibrafono, “Fearless” li mostra lucidamente spavaldi, ben lontani dalle paludi romantico / sinfoniche in cui altri gruppi progressivi più rinomati si impantaneranno presto ...
§§§ : “Between Blue And Me”, voce che gonfia onde di emozione / l’ubriaca “Sat’d’y Barfly” / “Spanish Tide”, che sale e scende come marea.

ImageGong : Angel’s Egg - R.G.I. part 2 (1973)

Un mondo a fumetti, il pianeta Gong, popolato di gnomi che si spostano su teiere volanti e comunicano per via telepatica; sintonizzatevi su Radio Gnome Invisible, trittico fantastico di Daevyd Allen, freak australiano che dal ’63 in poi ha seminato germi di follia musicalsovversiva in tutta Europa, e avrete racconti di fantascienza ridanciana in divertente jazz-rock spaziale. L’astronave mentale di Allen, propulsa dal sax di Malherbe e dalla chitarra di Hillage, supera in tromba - corna dal finestrino - la USS “Enterprise” del Cap. Kirk ...
§§§ : “Other Side Of The Sky”, rarefatta e fluttuante / il sax di “Inner Temple” / le percussioni assortite di “Love Is How Y Make It”.

ImageYes : Yessongs (1973)

Nella copertina fantasyentifica di Roger Dean un monumentale triplo live, summa teologica degli Yes: l’angelica voce di Jon Anderson e le belle tessiture armoniche di Steve Howe e Chris Squire, chitarra e basso di grande virtuosismo sono una delle vette del progressivo, quello ancora fresco di elaborate invenzioni e vibrante di nitide pulsazioni rock. Il castello incantato del genere crollerà per eccesso di pesanti fregi barocchi (paludati architetti megalomani che non distinguevano la bellezza dall’orpello non furono scacciati in tempo ...).
§§§ : “Heart Of The Sunrise”, gloria del sole che sorge / “The Fish”, lezione di basso / “Yours Is No Disgrace”, inarrestabile magma sonoro.

ImageJethro Tull : Stand Up (1969)

Jethro Tull era un agronomo britannico del XVIII secolo; innestando gemme di folk inglese e inusuale flauto sul robusto albero rock-blues, Ian Anderson ed accoliti ne fecero rivivere il nome, e i primi dischi furono davvero qualcosa di sorprendente, inaudito: Stand Up è il secondo, frutto maturo dell’istrionico Anderson in posa di lacero menestrello mendicante, voce calda e flauto in eruzione, e del trascurato Martin Barre, chitarra di ottima vena inventiva: dicono che il buon vecchio Jethro ne vada fierissimo e li ascolti a tutto volume ...

§§§ : “Jeffrey Goes To Leicester Square”, perlina acustica / “Bourée”, esercizio di stile su J.S. Bach / “We Used To Know”, pendola elettrica.

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ImageRobert Wyatt : Rock Bottom (1974)

Batterista e cantante dei primi Soft Machine, fuggito / scacciato dal gruppo in evoluzione verso l’ortodossia jazz / rock, dopo tre lavori interessanti ha la vita radicalmente cambiata da una caduta che lo lascia paralizzato agli arti inferiori. Batterista non sarà più, ma l’artista cresce esponenzialmente per spessore e umana saggezza, fino a diventare figura di culto, sorta di presidente a rotelle. Primo disco dopo l’incidente, Rock Bottom gronda ironica tristezza sin dal titolo, mai disperazione; voce unica in suoni senza data, da vero capolavoro.
§§§ : “Sea Song”, dolce e salmastra / linea vocale e piano in “Last Straw”/ i fiati nella corsa di “Little Red Riding Hood ...”

ImageNick Drake : Bryter Layter (1970)

Una chitarra, una voce velata di malinconia esistenziale, delicate canzoni dal testo intimista, pochi altri strumenti suonati da validi musicisti per il secondo di tre dischi belli nella loro semplicità. Traspare la timidezza, il disagio del comunicare sensazioni in un mondo che sembra girare indifferente al nostro ritmo interiore, e la speranza di cambiare sé stessi e il prossimo con parole e musica. Purtroppo Nick perderà la speranza, la depressione lo spingerà all’isolamento e alla fine, ma i suoi versi non si dimenticano.
§§§ : “One Of These Things First”, delizioso “avrei potuto essere ...” / “Poor Boy” e le sue parti strumentali / “Northern Sky”, l’attesa coronata.

ImageThe Velvet Underground : The Velvet Underground & Nico (1967)

La celebre banana / copertina di Andy Warhol nasconde un disco di perenne modernità e di grande influenza: gruppo senza compromessi, con i crudi testi di un giovanissimo Lou Reed ancorati alla realtà giovanile più scomoda, e soluzioni musicali d’avanguardia, grezze ma dirette ed efficaci. Inquietano gli ipnotici tamburi tribali di Maureen Tucker e il canto di Nico, Medusa che pietrifica con voce glaciale: la California della contemporanea estate dell’amore è agli antipodi di questa New York, grande mela velenosa ...
§§§ : l’ingannevole carillon di “Sunday Morning” / “Venus In Furs”, marcia e viziosa / l’incedere funesto di “All Tomorrow’s Parties”.

ImageDavid Crosby : If I Could Only Remember My Name ... (1971)

Dopo la separazione del supergruppo C.S.N. & Y., David Crosby chiamò a sè una legione di amici californiani. Caso raro di risultato superiore alla somma dei singoli addendi, le interazioni tra i musicisti generarono un lavoro unitario e fluido, riassunto degnamente corposo della West Coast ’66 ÷ ’70: belle armonie vocali, decolli per aciduli voli strumentali, una sensazione di morbido, avvolgente tepore musicale. Primo brano del disco: “Music Is Love”, vero manifesto ideologico / programmatico.
§§§ : “Cowboy Movie”, epico western a colpi di chitarra / “What Are Their Names”, rivolo che diventa fiume / “Song With No Words”, quando proprio non servono.

ImageBig Brother & The Holding Co. : Cheap Thrills (1968)

Big Brother & Co. sarebbe rimasta una dignitosa - e oscura - band di San Francisco, se non fosse stata la miccia per l’esplosiva Janis Joplin. La ribelle, fragile, tormentata Janis, quando saliva sul palco non era più una bianca texana, ma una nerissima voce / anima blues che donava tutto senza risparmio, così graffiante e selvaticamente sensuale da far le viscere a brandelli. Copertina geniale, tutta a fumetti, per un concerto memorabile in cui anche la band va a mille, spinta dalle chitarre duellanti di Sam Andrew e James Gurley.
§§§ : “I Need A Man To Love”, desiderio rovente / una “Summertime” da stupire Gershwin / “Turtle Blues”, ritorno alle radici acustiche.

ImageLove : Forever Changes (1967)

Che un gruppo capace di dischi così sia stato dimenticato in fretta, persino ignorato, è criminale mistero. La creatura di Arthur Lee abbracciava tutta la musica, melodiche canzoni orchestrate o pezzi vibranti e aggressivi, chitarre classiche e fiati di sapore ispanico, nel continuo cambiamento di scenari promesso dal titolo di questo terzo lavoro. Combinare mille influenze non è facile, la macedonia può essere insipida o con troppo liquore: quando il gioco riesce, è un fresco equilibrio di insoliti colori e sapori.

§§§ : “Alone Again Or”, epica sezione centrale / “A House Is Not A Motel”, 5 secondi di batteria solo scatenano l’elettricità / la scoppiettante “Bummer In The Summer”.

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ImageThe Soft Machine : Third (1970)

Incredibile che le belle pazzie patafisiche dei primi due dischi preludano a questo capolavoro di musica totale: quattro lunghe composizioni che fondono jazz, rock, sperimentazione e canzone in un corpo unico, un Morbido Macchinario dai ritmi riflessivi e dai tempi dilatati, dotato di scintille di nitida genialità. Un cervello? Probabile, con Robert Wyatt lobo dell’imprevedibilità umana: sarà progressivamente emarginato da chi mira all’algida perfezione di un computer producente jazz-rock seriosamente composto e ben eseguito ...
§§§ : la liquida circolazione di “Facelift” / “Slightly All The Time”, ricamata dal sax di Elton Dean / “Moon In June”, fantasiosa e sognante.

ImageFrank Zappa : Läther (1977)

Duro scegliere nella monumentale produzione di un Genio che ad ogni sfregamento della lampada emetteva big band jazz, rock canonico, partiture classiche, pièces cine/teatrali ... al denominatore: ironia feroce e satira di costume, a 360°. La storia di questo lavoro la dice lunga sul personaggio: avendo la casa discografica bocciato il progetto di un box quadruplo, supposto invendibile, per dilazionarlo in 4 singoli dischi, Egli riprese i nastri e li portò in trasmissione alla più vicina stazione radio, invitando gli adepti a registrare tutto e diffondere. Vi basta?
§§§ : “Re-gyptian Strut”, sontuosa ouverture / i frammenti di “RDNZL” / “Filthy Habits”, chitarra stratosferica.

ImageDavid Sylvian : Gone To Earth (1986)

L’intensa, melanconica voce di Sylvian e la sua capacità di scegliere musicisti di adeguata levatura per creare le raffinate atmosfere desiderate portano a questo frutto maturo, un doppio equamente ripartito tra canzoni e brani strumentali. Nelle prime, la romantica, crepuscolare melodia del canto spesso contrasta con inquiete e tormentate dissonanze; negli strumentali, delicatamente pittorici, echi di suoni nuotano nel silenzio, come in acquerelli impressionisti dai colori tenui ove le figure lasciano il campo ai loro spettri.
§§§ : l’inizio subacqueo da cui emerge “Before The Bullfight” / “Wave”, onda oscillante / “Answered Prayers”, notturna risacca sonora.

ImagePatti Smith : Radio Ethiopia (1976)

La Patricia artista polimorfa, pittrice, poetessa, non poteva non essere attratta da un veicolo emotivo così potente come la musica, che fa viaggiare qualsiasi messaggio a velocità doppia. Dopo il deciso, convincente “Horses” giunse questo disco, il cui grande pregio è la semplicità, l’immediatezza del suono; d’altronde, la vibrazione che pervade ogni parola cantata / recitata è tale da rendere superflue ricercatezze ed abbellimenti estetici, e una voce così densa di vita vissuta potrebbe incantare persino leggendovi le mie recensioni...

§§§ : “Ask The Angels”, secca come uno sparo / l’incedere pastorale di “Pissing In A River” / “Radio Ethiopia”, vorticoso delirio.


ImageSavoy Brown : Blue Matter (1969)

Sarà anche un gruppo minore, ed altri gli altisonanti nomi che ricorrono parlando di British blues revival, ma questo disco è un grattacielo di Chicago trapiantato a Londra; Kim Simmonds, chitarra poco più che ventenne, padroneggia la materia blues “ortodossa” come pochi altri, aggiungendovi bagliori elettrici senza stravolgerla, e Bob Hall è un pianista che sembra pescato in un fumoso locale dei bassifondi. Opera bifronte: il lato in studio è un fantasioso campionario stilistico, il lato in concerto ruggisce fiero e grintoso.
§§§ : “Train To Nowhere”, big band su locomotiva a vapore / il piano martellato di “Tolling Bells” / “Louisiana Blues”, travolgente rullo compressore.

ImageChris McGregor’s Brotherhood Of Breath (1971)

Un drappello di jazzisti sudafricani esuli in Inghilterra, capeggiato dal Nostro, fuse le proprie sonorità con la crema dei colleghi britannici: ne uscì questo lavoro di “fratellanza” in cui il piano del leader detta le interazioni tra fiati inglesi e ritmica kwela (il jazz delle township nere); la miscela, dai bei colori in quiete, se agitata diventa esplosiva. I puristi obietteranno “troppo jazz” o “troppo rockswinging”, ma svellere gli steccati è il primo passo della ricerca di nuovi orizzonti creativi.

§§§ : “MRA”, perfezione di sincronismi / il lirismo di Pukwana e Feza in “Davashe’s Dream” / lo spassoso “Union Special”, per gli spaventati da “Night Poem”.

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ImageCream : Disraeli Gears (1967)

Questi meccanismi di Benjamin Disraeli, deputato tory del secolo scorso, funzionano meglio dei suoi scritti narcisisti, conservandone la bizzarria; la chitarra di Eric Clapton, il basso di Jack Bruce, la batteria di Ginger Baker componevano il primo “power trio” del rock, illustrando che si poteva fare un sacco di bel rumore elettrico con pochi mezzi. Bello e innovativo il rock / blues con venature acidule, nel quale basso e batteria assumono ruoli primari di costruzione sonora, simpatica l’ironia che si intrufola in ogni solco.
§§§ : “Strange Brew”, limonata asprigna / la citazione di “Blue Moon” in “Sunshine Of Your Love” / “Tales Of Brave Ulysses”, coraggiosa mini-odissea.

ImageHatfield And The North (1973)

Il nome, mutuato da un cartello autostradale, copre una congrega di figli di Canterbury, laboratorio di alchimie sperimentali nel quale i musicisti si travasavano da gruppo a gruppo cercando la pietra filosofale (il luogo è disseminato di dischi d’oro, e non certo per cifra di vendita ...).Due facciate ininterrotte di liquidità armonica, di partiture poliritmiche complesse eppure talmente aeree che i cori delle Northettes sembrano venire da molto, molto in alto ...
§§§ : la batteria con silenziatore di Pip Pyle in “Going Up To People And Tinkling” / “Son Of There’s No Place Like Homerton”, 10 minuti di meccanica celestiale / gli a solo di “Gigantic Land Crabs In Earth Takeover Bid”.

ImageBob Dylan : Highway 61 Revisited (1965)

Il Dylan folksinger dei primi dischi, dure parole di denuncia e protesta in fragili canzoni acustiche, svoltò per l’elettricità e fu subito ripudiato dai soliti ortodossi, malgrado fosse evidente che in mani meno “rigorose” (Animals, Byrds) i suoi pezzi avevano acquistato un’altra dimensione, e i messaggi di parola ne risultavano persino rafforzati. Aiutato dalla chitarra di Mike Bloomfield e dalle tastiere di Al Kooper partorì un disco che vestiva di abiti dignitosi gli abituali contenuti, giungendo a migliaia di nuove orecchie e annessi cervelli.

§§§ : “Like A Rolling Stone”, la ruota gira / la sarcastica “Ballad Of A Thin Man” / una chilometrica “Desolation Row”.


ImageRenaissance : Live At Carnegie Hall (1976)

Tra sonorità classiche e pulsazione rock non è mai stato facile combinare matrimoni, e quelli veramente riusciti si contano sulle dita di una mano. Eccone uno, il concerto a New York dei Renaissance, gruppo che coniugava influenze di compositori romantici russi di fine ‘800 (Borodin, Mussorgskiy, Rimskiy-Korsakov) e misurata spinta ritmica di basso e batteria; il suono, già avvincente, diviene luminoso con la soave, limpidissima voce di Annie Haslam. Quasi due ore di rapimento in un mondo fatato di armonia.
§§§ : “Prologue”, ouverture pianistica per voce verticale / la corsa a perdifiato di “Running Hard” / “Scheherazade”, suite da mille e una notte in mezz’ora.

ImageChicago Transit Authority (1969)

Dal ’70 Chicago e basta, sbiadiranno prima nella megalomania, poi nel facile ascolto. L’opera prima è invece nitidissima: una briosa sezione fiati, solida base ritmica rock-blues, la chitarra di Terry Kath che si inerpica disinvolta su linee difficili, contorte e distorte.
§§§ : i continui cambi di marcia in “Liberation”.

ImageThe Doors (1967)

Le porte della percezione secondo William Blake, e l’oltre cercato da Jim Morrison, sciamanico e “maudit”, perno di presenza scenica; colonna portante del suono è Ray Manzarek, con il suo organo - poco più di un giocattolo - oscillante, ronzante, ipnotico.

§§§ : “Alabama Song (Whisky Bar)”, kabarett mitteleuropeo marca Brecht / Weill 1929.

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ImageArea : Are(A)zione (1975)

 

L’Italia può mostrare con orgoglio questo gruppo che evitava di scimmiottare i suoni di moda oltre Manica seguendo una personale via di jazz-rock radicale con influssi mediterranei: musicisti di vaglia e la grande, unica voce del mai troppo rimpianto Demetrio Stratos.
§§§ : le due metà della “La Mela Di Odessa”, separate dai morsi.

ImageKaleidoscope : A Beacon From Mars (1968)

 

Questo oscuro gruppo californiano (o marziano?) sorprende per la misteriosa, singolare creatività sonora: una miscela di acide chitarre da blues psichedelico, violini country e melodie turche dal bazar di strumenti etnici di Solomon Feldthouse. Stupefacente.
§§§ : “Taxim”, tappeto volante in fumeria d’oppio.

ImageColosseum : Valentyne Suite (1969)

Ennesima filiazione della palestra Bluesbreakers di Mayall; Jon Hiseman, batterista di notevoli doti ed inventiva, realizza una jazz-blues fusion tra il superbo, raffinato sax di Heckstall-Smith e la fluidità delle tastiere di Greenslade.
§§§ : i tre temi di “The Valentyne Suite”, impeccabile intreccio strumentale.



ImageRoxy Music : For Your Pleasure (1973)

 

Ro(ck) + (Se)xy, in bilico tra scossoni avveniristici e brillantina, con ironica intelligenza mediano tra avanguardia e kitsch in un disco colmo di geniali invenzioni; cacciato il non-musicista Brian Eno, con Brian Ferry al potere la scintilla andrà perduta.
§§§ : “In Every Dream Home A Heartache”, per una bambola ...


ImageQuicksilver Messenger Service : Happy Trails (1969)

 

Terzo vertice della scena acida californiana, specialmente nella parte in concerto mostrano la trascinante, avvincente tessitura chitarristica del morbido Gary Duncan e del tagliente John Cipollina, in continua interazione: un’orgia di suoni.
§§§ : l’assolata, sofferta ascensione di “Calvary”.

ImageJoy Division : Closer (1980)

Scuri ed inquietanti, distillano la rabbia punk del “no future” in una disperazione cupa e tesa: brani scheletrici, chitarra arida su ritmi ossessivamente semplici, e il canto di Ian Curtis (suicida pochi giorni prima dell’uscita del disco), drammaticamente interiore.
§§§ : “Heart And Soul”, gelida e spietata come una lama.

ImageRobert Fripp : Exposure (1979)

La mente del re cremisi chiama vecchi e nuovi amici, traccia una riga e fa il bilancio del settore a tutto il 1978: un metadisco in 17 frammenti spazianti dall’ambient atmosferico al metallo urlante, dal rock ‘n’ roll al blues da nevrosi urbana. Lucidissimo e determinato.
§§§ : “NY3”, come musicare un furibondo litigio familiare.


ImageGenesis : Nursery Cryme (1971)


Ritoccata la formazione, il terzo tentativo è disco centrato, una delle prime opere di progressive romantico: elaborate armonie, composizioni complesse con frequenti cambi climatici e Peter Gabriel a narrare storie insolite, sogni sghembi e mitologia.

§§§ : "The Musical Box”, delicato carillon che esplode in mille pezzi.


ImageHigh Tide (1970)


Forse un disco proveniente da un pozzo nero in comunicazione con gli inferi: la chitarra sporca e pesante di Tony Hill, Simon House stridente violino in volo e la corrucciata voce di Roger Hadden che sembra scagliare oscuri anatemi creano un clima gothic-dark impensabile per l’epoca.
§§§ : “Blankman Cries Again”, sulfurea e fiammeggiante.


ImageThe Kinks : “The Kinks Are The Village Green Preservation Society” (1968)


Più i Kinks crescevano in qualità, più venivano ignorati dal pubblico; questo è un disco magistrale - musica di elegante garbo e parole di Ray Davies, ironie centrate e pungenti - finito nel dimenticatoio. Ripescare!
§§§ : “Village Green Preservation Society”, manifesto conservatore.

 

 

 

 

 

 

 

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