Stampa
PDF
Indice
Da Mulinetti a Banbury: il nuovo percorso artistico dei Fairport Convention
Pagina 2
Tutte le pagine
 
Miscellanea Articoli miscellanea Da Mulinetti a Banbury: il nuovo percorso artistico dei Fairport Convention
 

Da Mulinetti a Banbury: il nuovo percorso artistico dei Fairport Convention Hot

ImageIntervista di Agostino Roncallo a Marco Canepa


All’inizio del 2009 è stato pubblicato il nuovo album dei Fairport Convention “Fame & Glory”. Si tratta di un lavoro inatteso e straordinario. Inatteso perché segna il ritorno al folk-rock delle origini, dopo un periodo, durato molti anni, in cui il gruppo sembrava essere scivolato verso sonorità marcatamente rock con qualche venatura folk. Straordinario perché ci troviamo in presenza di una vera e propria folk-opera di fattura, come si suol dire, squisita, raffinatissima. Il merito va anche al lavoro di recording / mix / mastering di Marco Canepa: sì, perché il nuovo album dei Fairport è si può dire cresciuto a Genova, negli studi di Maccaja, dove Marco con la consueta perizia è riuscito a tirar fuori suoni meravigliosi, potenti e delicati, separati ma nello stesso congiunti in un efficace cross-over. Abbiamo dunque proposto a Marco la seguente intervista, con l’obiettivo di comprendere sia la genesi di questo album che gli aspetti tecnici legati alla sua produzione.
Il nuovo album dei Fairport Convention "Fame & Glory" (Matty Grooves 2009) ha una matrice italiana se consideriamo il lavoro che hai svolto di registrazione / mix / masterizzazione. Come è iniziata la collaborazione a questo nuovo progetto?
Marco: Conoscevo il gruppo dei Fairport già dagli anni 70, da ascoltatore. Era il periodo in cui mi affacciavo al panorama musicale internazionale e scoprivo espressioni musicali aperte a 360 gradi, cercavo le contaminazioni culturali non scontate, proprio quelle meno “commerciali”: era un tempo in cui si sperimentava molto. Benché non fossi proprio un fan accanito del gruppo, mi piaceva molto il tipo di contaminazione folk/rock, che questi musicisti non avrebbero abbandonato nel tempo, nonché lo spirito di formazione “aperta”, con ospiti e cambiamenti di organico, come capitava spesso a quei tempi. Non avrei mai pensato un giorno di poter addirittura curare un loro album e collaborare con loro. Li conobbi personalmente una decina di anni fa, in occasione del tour di un progetto rock/pop con contenuti di musica celtica (Excalibur, tour in cui ero all’organo Hammond e fornivo un supporto musicale agli archi dell’orchestra, presente in formazione ridotta sul palco), cui partecipavano molti ospiti internazionali e di cui i Fairport costituivano la solida “base” ritmica e saltuariamente solistica del progetto (lì conobbi anche Roger Hodgson, leader dei Supertramp, di cui avrei da lì a poco realizzato un album come artista solista). Il produttore Alan Simon mi aveva chiesto di realizzare un album live del concept, di fatto partecipando alla produzione artistica di tutto il progetto. Fu un grande onore per me e un grande impegno, viste le diverse necessità dei personaggi importanti che condividevano l’esperienza. L’album tra l’altro andò molto bene, meritando un doppio disco d’oro in Francia. Da lì e da una mia partecipazione live al tour successivo, nacque una grande amicizia con i componenti del gruppo e una collaborazione per i loro progetti successivi. La formazione al momento del mio primo incontro era già quella attuale, con Dave Pegg al basso, Gerry Conway per la batteria, Ric e Chris al violino, banjo, bouzuki, nonché l’inossidabile Simon NIcol, chitarra e voce.

Quali problemi tecnici hai dovuto affrontare e quali scelte hai fatto per trovare le giuste sonorità di questo nuovo album?
Marco: I Fairport sono musicisti professionisti di vecchia data, con un bagaglio di esperienze notevoli sia in situazioni live che in studio… non è stato difficile catturare il senso del loro suono (che rimane comunque molto “live”, naturale, senza richiedere eccessive manipolazioni). Inoltre con mia grande soddisfazione ho potuto anche constatare una loro apertura verso nuove sonorità, lasciandomi carta bianca per sfruttare le tecnologie digitali, come i riverberi a convoluzione, ad esempio, che simulano ambienti anche surreali, quindi interessanti dal punto di vista creativo. So di aver potuto dare un mio piccolo apporto personale alla produzione anche in questo senso.
Quando hai conosciuto per la prima volta i Fairport Convention e come ti sei trovato sul piano della relazione umana? Hai qualche episodio da raccontarci?
Marco: Va premesso che per me, nella vita, viene sempre prima l’uomo e poi il professionista… una caratteristica applicabile penso a tutti i campi artistici e non. Sono subito rimasto colpito al primo incontro durante il tour dalla affabilità del gruppo. Esiste tra loro un affiatamento notevole e un grande rispetto per chi lavora con loro. Un’umiltà di fondo che dovrebbe far parte di tutto l’ambiente musicale, che invece ho trovato raramente, perché purtroppo spesso viene offuscata da istinti di prevaricazione nei ruoli (tra artisti famosi) pensando forse di dover essere sempre e solo al centro dell’attenzione, dimenticando che quando si costruisce un prodotto si è tutti ugualmente importanti. È chiaro che quando si instaura un bel rapporto tra tutti, la produzione ne beneficia al massimo.


Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Login