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SHUT UP! ROBERT ALTMAN R.I.P. Hot

Aveva inventato un sistema di registrazione audio su più piste in modo che i suoi attori potessero contemporaneamente parlare tutti insieme e tutti insieme essere ascoltati : per l’essere anche capiti ci saremmo arrivati dopo. Siamo sempre arrivati dopo Altman, lui che è sempre sembrato vecchio, che assomigliava al papà di Nikka Costa (direttore d’orchestra per Sinatra e comparsa nelle sigle finali del Grillo Rai del Te la do io l’America) e che ti saresti immaginato specchiarsi compiaciuto con una divisa della confederazione del Sud, ieri ha spento il suo riflettore e si è portato via i burattini parlanti del suo raccontare, lasciandoci la baracca di un cinema che oramai si vede anche sul telefonino.

ImageAltman è l’uomo che ha fatto decantare a Keith Carradine prima che diventasse un duellante le virtù di quel particolare ingrediente della Coca Cola prima che venisse ritirata dal commercio e che ne venisse privata in quell’affresco anni’20 che era”Gang” e che faceva assumere gli spinaci al Robin Williams del suo iconografico e bistrattato Popeye (una produzione Disney!) oltre che per rinforzarsi anche per affrontare la paura di un Poppa che non lo voleva riconoscere, ma è anche l’”America Oggi” delle short stories di Carver (poi riprese sia da Wes Anderson che da P.T.Anderson, rispettivamente nei personaggi dei Tenebaum e nelle figurine di Magnolia) dove i residuati umani di una “Nashville” che metteva a tacere i suoi cantori naufragavano nell’amoralità quotidiana di un paese che elimina le mosche con aerei da combattimento.

Il bifrontismo di Altman lo ha portato ad essere acclamato per la satira di “M.A.S.H.” dove la sua critica al sistema si inasprisce attraverso l’uso dello slapstick e del grand guignol splendidamente coniugati (e che, per triste ironia, diventerà uno sciacquato prodotto televisivo) e ignorato per “Streamers” dove il dramma in divisa si fa sussurro , amato per essersi stilisticamente ripetuto ne “I protagonisti” e dimenticato per la voglia di libertà di “Anche gli uccelli uccidono” dove sterco di piccione si fa foriero di morte quando il sistema minaccia l’individuo e dove l’illusione di staccare i piedi da terra muore per un bacio fin troppo terreno.

Altman , come Barnun, costruisce un circo di fenomeni assolutamente manifesti in “Bufalo Bill e gli indiani” in cui la storia e leggenda brindano alla loro interscambiabile finzione e di freak post moderni in “Terapia di gruppo” dove l’affastellamento di situazioni over the top genera , nel rumore totale, un silenzio di etica fin troppo palpabile.

Altman da camera in “Jimmy Dean Jimmy Dean” dove celebra attraverso una narrazione tutta al femminile (o così sembra…) un mito che agli albori aveva descritto in un tv movie presto dimenticato ma anche Altman apocalittico in un “Quintet” dove l’obiettivo riprende anche ai bordi dello schermo una opacità glaciale e dove il fuoco torna ad essere primordiale elemento di terrore e purificazione, Altman furbacchione che rinasce nei tardi ottanta e propone una serie di stanche repliche di modelli già sfruttati , trascinando i novanta con pochi guizzi e chiudendo però in bellezza con Radio America (ancora una volta il nome del Grande Paese, come in una rivisitazione alla Pynchon di una unica grande storia) e l’Altman che, per contratto, cazzeggia in “Non giocate con il Cactus”.

Serve comunque qui elencare ulteriori titoli e riferimenti? Chi ha voglia di approfondire legga poco e cerchi di guardare molto : nel solito circolo necrofilo stanno già preparando edizioni speciali in dvd di tutto l’Altman che ancora non si trova… (Marcello Valeri)

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