La dimensione live sembra per Omar quella più congeniale: i suoi concerti appartengono alla categoria del rituale, alla sfera del trascendente, sono cascate di ancestralità proiettate nella modernità. In questa presa diretta registrata nel maggio del 2006 al Rolf – Liebermann – Studio di Amburgo, Sosa conferma al meglio la sua strepitosa vena sempre alla ricerca inesausta delle proprie radici, ma aperta al presente, al futuro e alle nuove tecnologie. Il primo brano di questo splendido cd basta a spiegare quanto detto sinora. Alle prese con campionatori e sintetizzatori, infuocati sfondi percussivi e le frasi sferzanti della tromba elettrificata di Paolo Fresu, Sosa innalza una preghiera, un’invocazione atavica ad Eleggua, un Horisha (figura divina e santificata) appartenente al “pantheon” di quella che gli spagnoli hanno definito Santerìa, la vera religione di Cuba, un mix di antichi retaggi africani, appartenenti a quella zona dell’Africa equatoriale occidentale compresa tra il Togo, il Benin e parte della Nigeria un tempo abitata dalle comunità yoruba, e di cattolicesimo spagnolo: la più importante religione di origine africana trasportata a Cuba dagli schiavi di quel continente, praticata fino ai giorni nostri da un gran numero di fedeli. Ellegua’ è forse il più importante tra gli Horisha: é il signore delle strade, il custode della casa, apre e chiude le porte al destino, rappresenta il bene e il male, la notte e il giorno, la disgrazia e la felicità. Fin dal primo incedere del disco, quindi, siamo catapultati in un’altra dimensione apparentemente perduta, onirica e immaginifica, ma in realtà viva e reale data la sua sacralità e l’impetuoso carisma che ne deriva. L’Africa per Omar Sosa non è certo qualcosa di lontano, irraggiungibile, sognato, forse accaduto, non è quel fiore di ellingtoniana memoria al centro della selva metropolitana da nascondere e proteggere, non si cela dietro la modalità coltraniana o i gridi lancinanti del sax di Albert Ayler, ma è qualcosa di forte, di immanente che appartiene saldamente al vissuto quotidiano e all’intrinseco modus vivendi. Per concludere il disco prosegue meraviglioso, mantenendosi sulle stesse atmosfere, mescolando “il folclore alla contemporaneità, il tribale all’urbano”. Da non perdere. (Marco Maiocco)
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