Disco Club è come la vita, solo in versione compattata, anzi compact disc, dato l’ambiente. Se la frase suona retorica, possiamo diminuire le pretese e dire allora che Disco Club è un serial, un serial sulla cui idea di partenza Giancarlo Balduzzi dovrebbe mettere il copyright. Certo, c’è stato Alta Fedeltà (film e libro) che raccontava lo stesso mondo, ma lì i protagonisti erano il proprietario del negozio Rob e i suoi due commessi-amici, mentre da Gian è il variegato mondo della clientela a creare quasi ogni giorno (nei momenti migliori anche più volte al giorno) nuove storie e nuovi miti. Un serial in super-3D, visto che gli spettatori vi si muovono dentro e spesso ne sono anche protagonisti, un serial con personaggi ormai amatissimi (su tutti Carlo A), vicende che si snodano nel corso di diversi anni (fra cui un tempestoso corteggiamento) e la particolarità dell’assenza di veri e propri cattivi, forse perché, come diceva David Crosby, prima di diventare un tossicone paranoico scansato da tutti, “la musica è amore”.raffreddore

Visto che siamo scivolati sui sentimenti positivi, vale la pena raccontare una storia carina, sconfinando, una volta tanto, sul piano personale. La scorsa settimana mi sono preso l’influenza (non succedeva da sei anni; in quell'occasione mi venne la febbre alta e ascoltai con strani effetti epico-onirici un’antologia di Jimmy Webb comprata da poco – fa fede il bollino di Disco Club) e la cosa mi stava creando un grave disagio: avevo fatto mettere via da Giancarlo quattro nuovi dischi e non potevo andarli a prendere. La musica in casa non mi manca di certo, ma in quel momento volevo solanto sentire i nuovi Erland & the Carnival, R.E.M., Unthanks e il primo solo di Josh T Pearson e non li avevo.

Erano le cinque di un pomeriggio piovoso e triste quando trillò il citofono: "Chi è?" “Siamo i cd di Discoclub!” No, la frase è in effetti stata: “Sono Fausto [un nome perfetto, data la situazione, nda], ho i cd di Gian,” ma la sopresa è stata comunque grande. Burbero ma buono, Giancarlo aveva incaricato Fausto Meirana (brillante firma di questo sito) di deviare dalla via di casa per portarmi gli agognati cd. Fedele al nostro stile di vita molto rock’n’roll offrii a Fausto speed e cristalli di crack (tè e amaretti), ascoltammo i Deicide (Erland & The Carnival) e parlammo di sesso e automobili (i clienti di Disco Club). Inutile dire che tutti e quattro i cd, ovviamente ascoltati in sequenza, acquistarono quella sera un fascino particolare che probabilmente resterà loro attaccato come polverina magica (“Oh, questo è il disco che Gian mi ha fatto portare da Fausto la volta che ero malato”). Ora però, non spacciatevi tutti per malati per farvi portare i dischi a casa; Giancarlo non ci casca mica e potreste venire espulsi per telefono…

La storia è un piccolo esempio di come il cliente di Disco Club sia a volte anche aiutante-fattorino-collaboratore; un po’ costretto, ma in fondo anche contento di questo ruolo partecipativo: il ‘Megu’ porta i cd a Maurizio l’oste, Carlo A è l’incaricato del conferimento cartoni nei contenitori della raccolta differenziata (Disco Club difende l’ambiente), Luciano S si occupa dei contatti epistolari e postelettronici in lingua inglese con ‘l’Olanda’ e un po’ a tutti è capitato di stare cinque minuti al banco per brevi assenze di Giancarlo. A volte si creano anche situazioni curiose e una ce la racconta proprio Balduzzi:

Una volta capitò che verso le 18,00 il negozio si era riempito improvvisamente; tra telefonate, clienti da servire e ordinazioni sul database olandese, non riuscivo ad andare a prendere in vetrina un cd richiestomi. Vedendo davanti al banco Luciano S gli passai la chiave per recuperare il disco, cosa che fece per poi rivestirsi per andare a prendere bruco2“senza fallo il bruco metallico” (nel suo linguaggio, il treno). A questo punto vedo due clienti, anzi presunti clienti, bloccarlo e chiedergli i documenti. Una volta liberatomi della folla davanti alla cassa, mi avvicino e sento questo dialogo surreale:

Perché ha aperto la vetrina e preso un cd?”, “Perché me lo ha chiesto Gian”, “Allora lei è un dipendente?”, “Sì, dell'ICS”, “E cosa è l'ICS?”, “La ditta per la quale lavoro”, “No, lei lavora qui”, “No, qui vengo sfruttato”, “Ah ecco allora viene pagato in nero”, “No non vengo proprio pagato”.

A questo punto i due mi rivolgono uno sguardo di disapprovazione: ma come, fa lavorare in nero una persona e per giunta non la paga?

Mi chiedono i libri presenza ed effettivamente si accorgono che Luciano non è a libro paga. Lui cerca ancora di convincerli che lavora in un altro posto e che qui viene per divertirsi ed interpretare la sua parte, indispensabile tra le 18,00 e le 18,30 (un esempio: entra in negozio e qualcuno gli dice “buonasera”, inevitabile la risposta “buonasera un ca..o”). Alla fine lo lasciano andare a prendere il successivo “bruco” (il solito ormai è perso), con l'obbligo di presentarsi il giorno dopo con la documentazione del datore di lavoro, che dimostri dove effettivamente lavori.

L'indomani appuntamento in negozio e finalmente i due ispettori del lavoro si convincono che Luciano con Discoclub non c'entra niente; allora si rivolgono a me e cosa mi dicono? “Che bell'ambiente che c'è qui dentro, si respira un'aria familiare” La mano scatta per prendere il “polistirolo con l'anima di ferro” da spaccare in testa ai due, ma il cervello la ferma. Se ne vanno augurandomi “buon giorno”, la lingua risponde “buon giorno e vorrebbe proseguire col senesiano, un ca..o, ma il cervello la ferma.

Prendendo spunto da questa storia si può preannunciare che “Quando Giancarlo non c’è” sarà il titolo della prossima puntata della rubrica, ma prima di chiudere ecco un’altra piccola storia personale collegata a un altro tema ricorrente del ‘serial Disco Club’:

Mi capita l’altro ieri, tornando in treno da Milano, di incontrare Giuseppe V, sofisticato cultore di jazz e rock nonché cliente di Discoclub. Come c’è da immaginarsi, la conversazione prende subito una piega di spasmodico interesse per gli altri viaggiatori presenti nel compartimento: “Bello il disco di Brad Mehldau”, “Hai sentito James Blake che fa A Case Of You di Joni Mitchell?” e così via. A un certo punto mi rendo conto che Giuseppe, il quale, si badi bene, sta leggendo l’ultimo numero del New Yorker e parla un ottimo inglese, non conosce la pronuncia corretta di “deluxe”. Un po’ imbarazzato mi vedo costretto a spiegargliela; lui non si offende e mi saluta dicendo: “Va bene; allora sabato vado da Gian a prendere Layla delac”. (Antonio Vivaldi)

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