Salutato al tempo della pubblicazione come album-ponte fra Inghilterra e America, fra folk e country, L.A. Turnaround ebbe la sfortuna di venire prima dimenticato (il calo d’interesse per il folk, l’ascesa del punk) e poi di scomparire del tutto dalla circolazione, al punto che l’autore stesso l’avrebbe ricomprato una trentina d’anni dopo solo grazie a un’asta on-line. Ora che il folk è di nuovo trendy, il lavoro conosce la sua prima ristampa in cd e le recensioni sono entusiaste come quelle di 35 anni prima. Dunque, ci dev’essere qualcosa di speciale in questo L.A Turnaround, primo dei tre dischi incisi da Jansch per la Charisma (all’epoca nota soprattutto come l’etichetta di Genesis e Van Der Graaf Generator). Intanto va citata la perfetta integrazione fra l’intensità delle composizioni e la sommessa, quasi trattenuta performance vocale di Jansch; perfetta è poi la sintonia fra la magistrale, ma anche qui senza eccessi, chitarra acustica e blues-barocca di Jansch e la pedal steel linearmente americana di O.J. ‘Red’ Rhodes. Infine va citata la sobria e nitida produzione dell’ex Monkee Mike Nesmith che regala al lavoro l’ampiezza sonica dei suoi dischi con la First National Band (di cui Rhodes era componente). I pezzi scritti da Jansch sono tutti di commovente bellezza, naturalmente malinconici (One For Jo, There Comes a Time) ma pervasi da una sostanziale serenità (Fresh as A Sweet Sunday Morning, Travellin Man). L’unica eccezione è rappresentata dalla straziante Needle of Death, già presente sul primo, eponimo, album di Jansch (1965) e appena inferiore all’originale (si tratta di una delle prime canzoni in assoluto a parlare dei disastri provocati dall’eroina). Quasi altrettanto belli, ma forse più ovvi, sono i brani tradizionali, registrati come gli altri in una casa della campagna inglese, e rimpolpati dalle sovrincisioni californiane di brillanti strumentisti come Klaus Voorman e Byron Berline. Insieme a L.A Turnaround sono stati ristampati anche il poco riuscito esperimento westcoastiano Santa Barbara Honeymoon (1975) e il più centrato e molto londinese A Rare Conundrum (1977) (Antonio Vivaldi)
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