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BIG STAR - Third/ Sister Lovers (Ryko 1978)
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BIG STAR - Third/ Sister Lovers (Ryko 1978) Hot

Image Il pop cerca la perfezione e trova la depressione perché la perfezione, si sa, non è di questo mondo. Un passabile surrogato della perfezione è il successo. Quando, a dispetto del talento, non arriva nemmeno un po’ di successo, allora entrano in scena i Big Star. A quanto dicono gli esperti, furono loro a creare il cosiddetto ‘power pop’, ovvero melodia con un certo ritmo rock e accenni rhythm’n’blues che grande fortuna radiofonica conoscerà nell’America anni ’70 e ’80. E furono sempre loro a venare di malinconia quel suono in teoria così vitale anticipando Posies, Teenage Fanclub e financo i R.E.M. Rubando la frase a un altro genio pop non troppo sereno quale Phil Spector, conoscere i Big Star è amarli. Naturalmente li conoscono in pochi e naturalmente i cinici li consoderano uno dei nomi guida dello snob rock. La loro storia è un massiccio conglomerato di sfighe, incluse quelle ‘prenatali’. Sì perché prima di entrare a far parte dei Big Star, il ragazzo prodigio Alex Chilton aveva fatto parte dei Box Tops, band giovanilista che nei secondi anni ‘60 vendette moltissimo grazie ai singoli The Letter e Cry Like A Baby ricavandone, per contro, pochissime soddisfazioni economiche (la solita storia di firme malaccorte sui contratti discografici). Nel 1971, di ritorno a Memphis da New York dopo un fallito (ma va…) tentativo di riciclarsi come solista, Chilton riallaccia i contatti sonori con il vecchio amico Chris Bell. Gli altri Big Star originari sono Jody Stephens e Andy Hummel.

Il nome della formazione è ispirato a una catena di supermercati di Memphis e vorrebbe essere augurale, così come vorrebbe essere un incoraggiante double entendre il titolo del primo album, #1 Record (1972), che invece la classifica non la vedrà neppure di sbieco. Per problemi finanziari della Stax, casa madre della Ardent (etichetta del gruppo), il disco viene infatti distribuito poco e male. Ma anche senza questo contrattempo, è probabile che, per questioni squisitamente sonore, il grande pubblico avrebbe ignorato il lavoro. Le sue 12 concise canzoni sono infatti un perfetto esempio di non-sintonia con i tempi, eroico tentativo di conciliare l’aerea melodiosità dei Beatles con le asprezze terrigne del rock sudista in un'epoca che, al contrario, premia minutaggi, gestualità e atteggiamenti sopra le righe. Quando, nel 1974, fa la sua comparsa Radio City, Chris Bell è già uscito di scena, sommerso dalla depressione e da un mal represso antagonismo nei confronti di Chilton. Anche questo secondo lavoro passa inosservato nonostante la presenza di un titolo che, per immediatezza e ariosità, parrebbe destinate al trionfo commerciale come September Gurls (anni dopo verrà ripresa dalle Bangles). La frustrazione che induce Hummel a uscire definitivamente di scena (non parteciperà ad alcuna delle successive riunioni), manda fuori di testa Chilton che inizia a mettere mano a quello che va considerato il più bel disco non finito nella storia del rock..



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