Il titolo del disco si ispira al viaggio-fuga di Maometto dalla Mecca ed è stato concepito durante un lungo periodo ‘on the road’; una pausa per ritrovare l’ ispirazione dopo lo sconcertante e confuso ‘The Hissing of Summer Lawns’. La chitarra torna a creare le canzoni e nei lunghi testi si ripropone il tema preferito della canadese, la condizione di donna indipendente e il suo rovescio: la tentazione della normalità. La dilatata ‘Song for Sharon’ raccoglie tutte le contraddizioni dell’universo femminile secondo la Mitchell: un alter ego con marito, figli e fattoria al confronto con l’irrequietezza di un’artista poliedrica sempre in movimento, ma in crisi di fronte ad un vestito da sposa.‘Coyote’, invece, racconta un lungo viaggio in autostop che si trasforma in un incontro dalle tinte fosche con un rude maschio, forse un camionista da cui ha ricevuto un passaggio.
In ‘Black Crow’ la cantautrice si identifica con il nero volatile che non ha bisogno di treni, aerei, taxi per muoversi in libertà. La stessa metafora torna nell’omaggio ad Amelia Earhart, eccezionale esempio di figura femminile, prima donna pilota a sorvolare l’Oceano Atalantico. Si tratta di un disco affascinante e poetico suonato in punta di dita, con le chitarre di Joni e dell’esperto turnista Larry Carlton in primo piano, affiancate da un piccolo gruppo di musicisti con un giovane Jaco Pastorius che pennella, con le sonorità del suo prodigioso basso, un memorabile assolo in ‘Refuge of the Roads’. Da ricordare la comparsata, in ‘Furry Sings the Blues’, del vecchio amico Neil Young all’armonica a bocca. (Fausto Meirana)
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