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Concerti Concerti RED WINE - Bluegrass Party 7
 

RED WINE - Bluegrass Party 7 RED WINE - Bluegrass Party 7 Hot

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Una cosa è certa: a casa Red Wine non si soffre di scaramanzia, per il Bluegrass Party. A un certo punto sul palco l'originale quartetto genovese (che poi già di per sé è ormai un quintetto in pianta stabile, con l'implacabile e discreta assieme batteria di Davide Zalaffi) era diventato una formazione a tredici. Con fiati, archi, mantici, corde, pelli e piatti, e....piedi. Quelli vorticosi e ritmicamente perfetti della grande ballerina di tip tap Romina Uguzzoni. Bluegrass Party numero sette, dunque, per la prima volta al Teatro della Tosse. Location eccellente, splendida acustica, ed altrettanto eccellente risposta di pubblico, per un appuntamento che è da considerarsi un classico di questa città spesso a coro di fiato ed idee, ma non nel campo delle note afroamericane e nordamericane in genere. Fiato ed idee, invece non sono mai mancati alla Red Wine, dal '78 ad oggi. Hanno carambolato con sovrana indifferenza dalle spinte più puristiche e filologiche del bluegrass alle aperture più innovative, e, almeno per una parte di pubblico, frastornanti.

L'hanno sempre fatto con un grazia filante che è motivo d'orgoglio, per questa città e oltre. Non c'era un nuovo disco da presentare:il futuro è in lavorazione, e basta e avanza, per ora, il delizioso Pickin' Friend di qualche tempo fa, fatto salvo l'annuncio che i Bluegrass Paarty vengono registrati e filmati, e dunque c'è da aspettarsi, prima che poi, qualche bel ricordo su Dvd e su cd di queste feste che riescono ad essere, sempre, allegre ed eleganti. Sul palco della Tosse assieme alla Red Wine c'erano musicisti di diversa estrazione stilistica: a cominciare da Filippo Gambetta, che è anche notevole mandolinista, ma saggiamente ha preferito usare solo il suo magistrale organetto, e Michel Balatti, flautista perfettamente a proprio agio nella tradizione gaelica del suo strumento. Dunque: un Bluegrass Party che andava a indagare anche la festosa tempesta ritmico-melodico "circolare" dei reel irlandesi, una comunità di immigrati, negli States, che lasciò un apporto decisivo nelle note afroamericane, e dunque anche nel bluegrass targato Kentucky. Poi c'erano Henrich Novak al dobro e Jiry Kralik al violino, uno spicchio "country" che però arriva... dall'Est europeo. Gente tutta sostanza di suono (ai limiti della perfezione) e poco apparire. Molti fatti (musicali) e poche parole. Fin qui dunque, i primi apporti: il ceppo irlandese, quello più propriamente Midwest. Che succede se la bussola mette in conto anche il Sud degli States? Succede che non è meraviglia scoprire come banjo, mandolino, chitarra, basso (un Lucas Bellotti istrionico senza mai esser sopra le righe) se incontrano la triade timbrica assicurata da clarino (Francesco Bencini), Diego Servetto (tromba) e Dennis Trapasso (trombone) fanno deflagrare una miscela nuova. Nuova di almeno un secolo, si chiamava Gess, Jess o Jazz, è stato avvistato dalle parti di New Orleans. E serviva per gioire, lenire i dolori di gente che di dolori ne aveva ogni giorno, nella vita da schiavi e poi da miseri braccianti, dopo la "liberazione" , e magari ricordare che un giorno, quando "marceranno i Santi, in Parata, in quel gruppo ci saremo anche noi". Ma come, il bluegrass non era solo quell'accademia scolastica della velocità ipertecnica? Ma qui ci mischiano le carte, quelli della Red Wine. O il mazzo era già mischiato da solo? O l'hanno truccato Coppo e Ferretti, che non sono certo gli ultimi arrivati, a sparigliare le carte? (Guido Festinese)

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