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Concerti Concerti ROCK EN SEINE 28-29-30 agosto 2009
 

ROCK EN SEINE 28-29-30 agosto 2009 Hot

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28/8
Oasis, Madness, Bloc Party, Vampire Weekend, Amy McDonald, Yeah Yeah Yeahs, Keane, Asher Roth, Vitalic, Bill Callahan, Passion Pit, Just Jack, James Hunter, Gush, Tatianas, Oceana.
29/8
Faith No More,The Offspring, Calvin Harris, Birdy Nam Nam, Yann Tiersen, Ebony Bones, Noisettes, Dananananaykroyd, Billy Talent, Zone Libre vs Casay & James, The Horrors, School of seven bells, Kitty Daisy & Lewis, Cheveu, Jil is Lucky, The Asteroids Galaxy Tour.
30/8
Prodigy, MGMT, Eagles of Death Metal, Macy Gray, Them Crooked Vultures, Metric, Klaxons, Patrick Wolf, Sliimy, Sammy Decoster, Robin McKelle, Baaba Maal, Lilly Wood and the Prick, Hindi Zahra, Hypnotic Brass Ensemble, Veto.

Settima edizione per un festival che non cessa di crescere. Quest’anno si dipana nel corso di tre giornate, baciate da un tempo splendido, che cercano di presentare quanto di meglio offra il panorama internazionale, almeno in relazione alle band che sono correntemente in tour. Gli headliners di quest’anno sono forse meno interessanti, almeno per chi scrive, dei REM o dei Pixies passati dal Rock en Seine degli scorsi anni; peccato in particolare per l’assenza degli Arctic Monkeys, contattati dagli organizzatori, che sono impegnati a Leeds e a Reading il 28 e il 29 e non accettano quindi di suonare domenica 30. Tuttavia, almeno la prima giornata è già soldout: sarà forse per la presenza degli Oasis, che nonostante il declino continuano ad attrarre grandi folle?
Arrivo il venerdì sul presto, in tempo per vedere sul palco dell’Industrie, il più raccolto, una breve parte del concerto dei parigini Tatianas, tra Strokes e Dirty Pretty Things, giovani, bravini, ma niente di più. Dopo una passeggiata giungo sulla Scène de la Cascade (quest’anno migliorata con due megaschermi), dove poco dopo le 16 cominciano i Keane. Il pubblico è già molto numeroso; gli inglesi sono leggermente meno noiosi dal vivo che su disco, offrendo una performance abbastanza gradevole e applaudita. Finito il concerto la folla si disperde e questo mi consente di accostarmi al palco per i due concerti della giornata che mi interessano veramente: Yeah Yeah Yeahs e Madness. I primi sono sul palco alle 17.30, un orario non troppo felice per via del forte sole al quale si aggiunge un polverone che, data un’estate di siccità, permarrà quale costante dei tre giorni. Ma la band non si fa davvero scoraggiare, proponendo con energia e senso dello spettacolo (carine le Y di carta rossa che volano in quantità sprigionate dal palco: alcune saranno ancora lì due giorni dopo) un’ampia scelta dall’ultimo LP e alcuni brani dai precedenti; Karen O, vestita d’oro fino a Zero, quando indossa una giacca di pelle come il testo (e il video) prescrive, catalizza gli sguardi. Brano migliore Heads Will Roll, ma tutta la performance è tesa e riuscita.

Un’ora di concerto poi una lunga attesa e, alle 19.15, è il momento dei Madness, tornati quest’anno con uno splendido LP. Il sole è calato e l’aria più fresca; meglio per il pubblico e soprattutto per la band, che si presenta in scena abbigliata di tutto punto: completi inglesi blu e grigi, scarpe bicolori in stile two tone. Si comincia, come un rito, con One Step Beyond, seguita a ruota da Embarassment (bellissima) e Rock Steady Beat. E’ evidente che la band ha scelto il suono più giocoso rispetto alla maturità dell’ultimo disco, e forse è una scelta saggia per un festival; dal nuovo disco vengono tre brani, fra i quali l’incredibile NW5 e una Forever Young trascinante e molto applaudita; bella anche la ripresa di un paio di classici ska, eseguiti con grazia e perizia, che scaldano il pubblico non meno dei brani che tutti si attendono: My Girl, Our House, Madness, Night Boat to Cairo, Baggy Trousers (durante il quale Lee Thompson vola attaccato a un cavo come nel video di buona memoria). L’entusiasmo e l’emozione del pubblico sono apprezzati dalla band, simpatica e sorridente durante tutto lo show, davvero indimenticabile.
Prossimo concerto sulla Grande scène, il palco principale, dove si esibiscono i Vampire Weekend. In questo caso non sono un buon giudice, il disco mi piace poco, e dal vivo non migliora, nonostante la band sia in grado di mettere in campo un suono ricco di varianti e per niente banale: ma alla fine, anche live mi pare poco coeso e tutto sommato noioso. Ritorno sulla Scène de la Cascade dove alle 21 suonano i Bloc Party, altra band molto amata ma che non riesco ad apprezzare. Suoni nitidi, bella voce del cantante Kele Okereke, che poco dopo l’inizio prega il pubblico di confermargli che non è lì per vedere i “fucking Oasis”, con i quali se ricordo bene ha avuto uno scontro in un recente passato. Le voci di conferma non mi sembrano molto convinte, e in effetti dopo mezz’ora molti si dirigono verso il palco principale per trovare un posto. Mi accodo.
L’enorme spazio che fronteggia il palco è già affollatissimo. Poco dopo l’orario previsto per l’inizio, le 22, sul palco sale un rappresentante degli organizzatori il quale annuncia che i fratelli Gallagher hanno avuto uno scontro (“se sont bagarrés”): vista la frequenza di eventi simili e il tono di voce sopra le righe dell’annunciatore, in molti pensano a uno scherzo (me compresa: mi sorprendo anzi a pensare quanto può essere caduta in basso la band, da voler dare un’immagine così comica di sé), ma subito la dichiarazione prosegue: di conseguenza il concerto e l’intera tourneé sono annullati, e la band sciolta. Il pubblico appare veramente gelato; solo quando l’annuncio è ripreso dagli schermi parte prevedibile una selva di fischi e di improperi. Organizzatori sfortunati o forse poco previdenti: è la seconda cancellazione di un headliner dopo quella di Amy Winehouse lo scorso anno. L’unico contento è Okereke, il quale nelle fasi conclusive del suo concerto annuncia, a quanto si dice, “I guess we are headlining now”. In tantissimi lasciano inferociti il Domaine de Saint-Cloud: peggio per loro, perché i Madness impartiscono una bella lezione ai fratelli Gallagher, accettando di prendere il loro posto. Suoneranno allegramente per quasi un’ora. A loro decisamente il premio per la band più simpatica del festival.
Il giorno successivo il programma è meno denso e il pubblico meno numeroso: assisto al concerto degli scozzesi Dananananakroyd, punk genere At The Drive-In con attitudine più giocosa. Con due batteristi, due chitarristi, due vocalists e un bassista, non è la potenza di suono a mancare alla band; quanto ai brani il discorso è diverso: dal vivo non sembrano infatti molto strutturati o maturi. Seguono, piuttosto attesi dopo un buon disco, gli Horrors: a giudicare dal pubblico attraggono una vasta gamma di giovanissimi neo-goths che affollano le prime file. Il concerto presenta per la maggior parte i brani del nuovo LP, ma la dimensione live non sembra la più adatta alla band e l’ora che hanno a disposizione trascorre un po’ noiosa.
Alle 20 sul palco principale suonano gli Offspring, il cui emo-punk non mi dice molto; decido quindi di rilassarmi con Yann Tiersen sulla scena dell’Industrie. Il musicista francese è accompagnato da una band elettrica, suona splendidamente il violino e talvolta la chitarra, si concede talvolta alla voce in compagnia di una cantante, per un concerto non memorabile ma comunque gradevole. Tempo di spostarsi sulla scena principale dove alle 22.15 sono attesi i riformati Faith No More. Un grande tendaggio rosso sullo sfondo accoglie la band, vestita con eleganti completi pastello: l’esordio è soft, con l’autoironica cover di Reunited dei Peaches & Herb. Ma la musica cambia presto intensità: i FNM sfoderano infatti una grinta e una potenza di suono spaventose per eseguire i loro pezzi migliori, da Be Aggressive (un manifesto per il concerto!) a Caffeine, da Surprise You're Dead a una fantastica Midlife Crisis. Qualche pausa più melodica con la cover di Easy dei Commodores o King for a Day punteggia un concerto lungo e davvero memorabile, con un Mike Patton in grado di cantare con una gamma di toni e una chiarezza sorprendenti dopo tanti anni. La band torna per i bis, introdotti dal tema di Midnight Cowboy e chiusi da un’attesa - e, ancora una volta, perfetta - We Care A Lot. Che sia il festival dei veterani? Chiudono bene il sabato i Birdy Nam Nam, quartetto di DJ molto noto in Francia, che accompagnano i festivalieri meno stanchi (e non sono pochi) verso la notte.
Terzo e ultimo giorno, una domenica di sole scintillante, un programma intenso che mi costringerà a correre fra un palco e l’altro, e di nuovo tutto esaurito a giudicare dai cartelli “cherche place” esibiti da molti (bagarini inclusi) già all’uscita del metro. La giornata, a parte qualche musicista di contorno, si divide sostanzialmente tra sonorità hard-rock ed electro, e include (nel primo campo) Les Petits Pois, nome scelto dagli organizzatori per celare una sorpresa, presto trasformatasi in supposizione e, pochi giorni prima del 30, in conferma: si tratta dei Them Crooked Vultures, supergruppo composto da Josh Homme, John Paul Jones e David Grohl.
Un primo giro mi consente di ascoltare scampoli di Hindi Zahra (cantautrice dalle sonorità mediterranee), di Macy Gray e di Sliimy (“il Mika francese”: mah...). Una visita alla scena centrale verso le 18 mi conferma che gli Eagles Of Death Metal, con la loro parodia del rock più retrivo degli anni ’70, riescono a suonare esattamente secondo le intenzioni. Una parte del pubblico sembra contenta, ma per quanto mi riguarda preferisco spostarmi verso il palco dove alle 18.50 sono attesi i Them Crooked Vultures. Mi pare significativo notare che Josh Homme rinunci a esibirsi con gli Eagles: segno probabilmente di un serio attaccamento al nuovo progetto.
I TCV attaccano puntuali e andranno avanti per una buona ora. Non è facile giudicare una band i cui brani sono ancora tutti inediti, e che per giunta produce un volume di suono veramente ragguardevole, ma l’impressione è molto positiva. Forse è la personalità di Josh Homme a prevalere, nonostante John Paul Jones (che appare rilassato e sorridente, nonché osannato dal pubblico) lasci il segno esibendosi, oltre che ovviamente al basso, con una particolarissima slide color porpora e alle tastiere. Se si deve fare un paragone, i QOTSA sono la band che viene in mente (fortunatamente molto più dei Foo Fighters), ma il disco potrebbe sorprendere piacevolmente. A questo punto, mi pare davvero il festival dei veterani.
Appena finito il concerto, torno verso il palco principale dove i MGMT hanno appena cominciato. Esplosi la scorsa estate proprio con una serie di esibizioni nei festival inglesi, hanno già lasciato il segno almeno sotto il profilo della moda: non pochi ragazzi sembrano aver adottato infatti il loro look neo-hippie-neo-glam. Il pubblico è ormai numerosissimo, balla e applaude i brani di maggior successo, come Time To Pretend e Kids, già piccoli classici. La band presenta anche alcune nuove canzoni, nessuna delle quali sembra lasciare troppo il segno, ma il giudizio è rinviato all’uscita del disco. Nuova corsa verso i Klaxons, anch’essi alle prese con “il difficile secondo disco”; pare che la casa discografica abbia rigettato infatti le nuove proposte del giovane gruppo inglese, giudicandole poco commerciali. Il concerto, in effetti, si basa in larga parte sul primo - e assai ben riuscito - LP; Golden Skans è cantata da tutti. Forti ormai di oltre due anni di esibizioni, i Klaxons sfoderano grinta e classe per un concerto molto bello e privo di punti deboli.
Sono quasi le 22 quando finiscono ed è il momento - con un ennesimo cambio di palco - dei molto attesi Prodigy, i cui concerti inglese sono stati seguiti da recensioni entusiaste. L’inizio è puntuale, su una scena con luci giocate su toni rosso sangue. La band suona potente, i due rapper-cantanti sono in forma, l’attitudine è estrema (il batterista vomita mentre suona, prontamente ripreso dalle telecamere): manca tuttavia un po’ di dinamismo, il che dopo qualche brano rende lo spettacolo monotono. Dopo che neppure Firestarter riesce a coinvolgermi, decido di fare un salto verso la Scène de l’Industrie dove si esibisce Patrick Wolf; mentre mi allontano, il pubblico balla ovunque, anche a centinaia di metri dal palco, segno mi pare che agli occhi dei più i Prodigy hanno fatto centro.
Ma è felice anche il migliaio di persone che hanno scelto di seguire calorosamente Patrick Wolf, il quale si concede all’abbraccio delle prime file, abbigliato in un abito metà drag, metà tunica romana; concerto barocco, come ci si può attendere da lui, ma anche allegro ed energico, davvero un modo simpatico e rilassante di concludere un festival ormai all’altezza della competizione estiva internazionale. (Marina Montesano)

Nella galleria fotografica sottostante nell'ordine: Faith No More, Klaxons, Madness, Patrick Wolf, The Crooked Vultures, The Horrors, Yann Tiersen, Yeah Yeah Yeahs.

Foto: Marina Montesano (per ingrandire, cliccare sulla foto)

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