2020 parole

17.6.20 Dove cerco di capire perché scrivo queste righe tirando in ballo Orwell e Perec.

Mi domando spesso perché scrivo queste righe. Ogni volta mi torna in mente uno scritto di George Orwell. Nel 1946 Eric Blair (il suo vero nome) pubblica Why I Write ("Perché scrivo"), un articolo in cui identifica quattro principali motivazioni: 1. Puro e semplice egoismo (Desiderio di apparire intelligenti, far parlare di noi); 2. Entusiasmo estetico (Il desiderio di condividere un'esperienza avvertita come inestimabile e imperdibile); 3. Impulso storico (Il desiderio di scoprire la verità dei fatti e tenerla in serbo per la posterità). 4. Intento politico (Il desiderio di spingere il mondo in una determinata direzione). Motivi che in diverse percentuali sono secondo lui – ma anche secondo me – le cause scatenanti del nostro incontrollabile impulso a scrivere. In una recente conversazione su Messenger un amico mi ha inviato una foto di un suo quaderno ritrovato, in cui annotava i dischi acquistati; un semplice foglio dattiloscritto in cui dal n°1 (TARKUS /EL&P / LE NOTE / 1976) al n°1291 (POLYROCK / POLYROCK / EDO / 6.12.1990) teneva traccia di titoli, gruppi, luogo d'acquisto e data. Scomodando un altro dei miei miti letterari, e cioè quell'amante delle liste e delle classificazioni totalizzanti che è stato Georges Perec, ripercorrere quei nomi ha suscitato in me una fortissima emozione. Improvvisamente, come "un investigatore della vita quotidiana" mi sono ritrovato seduto nella vecchia casa dei miei, davanti a mio quaderno protocollo con la copertina blu (che purtroppo non ho conservato), in cui ogni settimana, scrivevo la lista dei dischi che avrei voluto comprare; alcuni resistevano in cima per molte settimane, come in una sorta di hit parade dei desideri. Solo di tanto in tanto riuscivo a depennare qualche nome con l'agognato acquisto. Così mi è sembrato naturale, per tornare alla domanda iniziale, aggiungere un quinto e più modesto motivo: scrivo (anche) per trovare persone con cui condividere il mio 'sentire la vita'. E per rendere insieme a loro più lieve il suo trascorrere.

10.6.20 Dove parlo di cose brutte e fortunatamente anche belle.

Avrei voluto parlare dell'indecorosa gazzarra social che alcuni spavaldi hanno scatenato su Facebook quando Paolo Fresu ha annunciato che l'edizione 2020 di Time in Jazz – il festival che organizza da trentotto anni a Berchidda, nel pieno nulla della Sardegna – avrebbe visto la partecipazione anche Daniele Silvestri. Invece di gioire della notizia di un festival che riesce a ripartire, i lanzichenecchi della tastiera hanno vomitato ingiurie e accuse su Paolo (che ha debitamente risposto) colpevole di portare un figuro di tal fatta in mezzo agli dei del jazz. Qui chiuderei: ne riparlerò nella puntata di JazzTracks che sarà disponibile da sabato alle 21 su questo stesso sito (non sapevate che conduco un podcast jazz? Beh, rimediate alla svelta!). Vorrei spendere invece qualche riga in più su "Parole Spalancate", il Festival Internazionale di Poesia di Genova che dal 1995 Claudio Pozzani testardamente si ostina ad organizzare a Genova. Il programma di quest'anno lo trovate qui https://www.parolespalancate.it/programma/, ma intanto vi dico che giovedì 18 alle ore 21.30 nel cortile di Palazzo Ducale un quartetto formato da Stefano Guazzo (sax), Fabio Vernizzi (pianoforte), Riccardo Barbera (contrabbasso) e Rodolfo Cervetto (batteria) accompagnerà Claudio Pozzani, ideatore e voce narrante del progetto, in Saxbird – Storia e leggenda di Charlie Parker: L'ascesa di "Bird", dagli esordi nelle jam session a Kansas City fino ai successi e gli eccessi a New York, tra biografia, aneddoti, sogni e tanta, tanta musica dal vivo. Vista la situazione è consigliatissima la prenotazione e anche la presenza aggiungo io. Non capita spesso di poter ascoltare un quartetto di tale livello, per di più all'interno di una narrazione dedicata a uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi. Certo, ci si potrebbe lamentare a lungo dell'obbligo di mascherina, del fatto che si dovrà stare distanziati e chissà di quante altre cose ancora... ma non qui per favore, se possibile ci piacerebbe parlare di sole cose belle.

3.6.20 Dove parlo dei benefici dell'acqua e della musica

Oggi, martedì 2 giugno, dopo tre mesi, sono tornato in piscina. Mentre nuotavo mi è tornata in mente World of Water dei New Musik. Altri tempi, altra musica, ma mentre la canticchiavo nella mia testa, cercando di non pensare alla fatica di riattivare movimenti e sincronismi atrofizzati dall'inattività, riflettevo sul magico potere che l'acqua ha su di me (meglio quella del mare se volete saperlo, ma in mancanza anche una vasca da 50m può servire). Appena mi tuffo, tutto scompare: ci siamo solo io e l'acqua. Resto a lungo sotto, assaporando il freddo dei primi istanti: è una sensazione meravigliosa, i rumori si attenuano, l'azzurro prende il sopravvento e galleggio senza pensieri, né affanni, fino a che la mancanza di fiato mi costringe a riemergere. La stessa sensazione la provo, a volte, quando ascolto un disco. Non sempre e non con tutti. Una volta, quando ancora lavoravo da Disco club, è successo con Blue in Green di Miles Davis, uno dei brani scritti da Bill Evans per Kind of Blue. In negozio eravamo io e un amico e improvvisamente il tempo ha sospeso il suo scorrere, il negozio ha cessato di esistere: c'era solo il piano di Evans, il solo di Coltrane, la tromba di Miles; poi tutto è scomparso, e lentamente siamo ritornati dolcemente al mondo (sì, è capitato anche a lui!). Un altro brano con cui mi accade regolarmente è My Funny Valentine, la versione di Jim Hall e sempre Bill Evans, da Undercurrent. Anche questi tre mesi sono stati giorni sospesi, ma in altro modo; pur non avendo particolarmente sofferto il lockdown, non sono mai riuscito ad ascoltare la musica rivivendo quella sensazione. Forse per funzionare ho bisogno di normalità intorno: domani, ritorno in negozio, da Disco Club. Sono tre mesi che non ci metto piede, probabilmente il periodo più lungo della mia vita da quando ho cominciato a frequentarlo. Ho qualche disco da parte. Spero che tra loro ce ne sia uno che riesca ancora una volta nel miracolo: vorrebbe dire che la normalità è tornata. Nel caso ve lo faccio sapere.

27.5.20 Dove scopro anche tra Manga e Anime si può nascondere il Jazz!

Ho sempre guardato con una certa condiscendenza la passione di mia figlia undicenne per i Manga e gli Anime. Per intenderci i fumetti e i cartoni animati giapponesi. Negli ultimi tempi il suo interesse è cresciuto esponenzialmente, tanto che da buon genitore ho deciso di condividere la visione di un titolo che dal titolo, Death Note, destava in me qualche preoccupazione; ero pronto, per la felicità di Foucalt, a Sorvegliare e Punire. Non sono ancora sicuro di come sia accaduto, ma sembra che il virus – ne girano molti, a quanto pare – abbia contagiato anche me. Su indicazione di Riccardo Oliva – amico, ma soprattutto bassista elettrico dal radioso futuro – ho cominciato a guardare Sakamichi no Apollon, un anime tratto dall'omonimo manga di Yuki Kodama. La musica ha una parte molto importante nella vicenda di Kaoru, Sentarō e Ritsuko, tre adolescenti nel Giappone del 1966; il padre di Ritsuko, la ragazza del gruppo, è il proprietario di un negozio di dischi con la passione del jazz. Se la vicenda dal punto di vista narrativo, non offre spunti particolari, il rapporto tra i due protagonisti maschi, uno introverso di formazione classica, l'altro scapestrato e dedito al jazz, non è privo di qualche interesse. La parte migliore è senza dubbio quella musicale: le citazioni sono molto precise, così come i dettagli discografici. La colonna sonora, composta da standard degli anni '50 e '60 (ogni episodio ha il titolo di una canzone: Moanin', Someday My Prince Will Come e così via), è arricchita da brani della pianista Yoko Kanno, una veterana del genere, autrice insieme al suo gruppo, i Seatbelts, delle musiche di un altro titolo di culto, Cowboy Bebop. Ma la cosa che più mi ha colpito sono i commenti su YouTube: in molti hanno scritto che la visione di Sakamichi no Apollon è stata la molla per cui hanno cominciato ad interessarsi al jazz. Alcuni avranno scoperto Art Blakey, altri Chris Connor che canta Lullaby of Birdland. Io ho fatto il percorso inverso, ma l'importante è essersi incontrati.

13.5.20 Dove provo a immaginare il futuro della musica dal vivo.

Con la Fase 3 è arrivata anche la certezza che, per quest'anno, dovremo rinunciare ai grandi concerti, quelli da stadio per intenderci, dove decine di migliaia di persone si accalcano in luoghi acusticamente improbabili e spesso anche visivamente inadeguati (da qualche anno tocca anche vedere su siti come Ticketone posti in vendita a "visibilità ridotta"!). Anche se non sono mancati in passato esempi virtuosi riusciremo a vivere senza. (Non fraintendetemi: sto facendo una valutazione artistica, non economica. Mi rendo perfettamente conto della quantità di posti di lavoro e di indotto che verranno a mancare). Per i jazzofili, che raramente si ritrovano in uno stadio o in una piazza in mezzo ad una folla acclamante, è ufficialmente saltato l'appuntamento di UmbriaJazz, già riprogrammato al 9 luglio 2021. I concerti all'aperto si potranno tenere con una capienza massima di 1000 persone, ma con tutta una serie di limiti – "deve essere assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per il personale sia per gli spettatori" – che scoraggeranno probabilmente la maggior parte dei promoter. Non tutti si spera: a Genova intanto Marco Tindiglia è intenzionato a rinnovare l'appuntamento con il festival Gezmataz, al Porto Antico. Nel resto d'Italia, non suoni ironico, si vedrà. In parte ci si dovrà rivolgere ai cari vecchi dischi e, probabilmente, a concerti in streaming da guardare agiatamente sul divano, con un ottimo audio, ma senza il pathos dello spettacolo dal vivo (intanto sulla pagina YouTube dei Radiohead sono stati aggiunti interi concerti con l'hashtag #StayHome #WithMe; su quella del Boss invece bisogna darsi da fare, ma il concerto di Londra del 2009 ad Hyde Park ad esempio si trova tutto, ma diviso in singole canzoni). Sono certo che non mancheranno le sorprese, qualche scoperta estemporanea, magari in piccoli locali, davanti a due tre tavolini, con artisti misconosciuti, ma comunque meritevoli: sarà questo il futuro della musica dal vivo a chilometro zero?

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